In un'ipotetica classifica delle copertine più brutte della storia del rock non potrebbe mancare la sgraziata bambina vestita da ape dell'omonimo disco d'esordio degli statunitensi Blind Melon (1992). Peccato, perché l'album è di tutt'altra pasta e a mio avviso si può tranquillamente collocare tra i migliori di quell'effimera stagione di rock alternativo che tuttavia ha cambiato le sorti della scena musicale fin quasi ai giorni nostri.
Il gruppo si formò a Los Angeles alla fine degli anni Ottanta ed era costituito, nella formazione che registrò il primo LP, da Shannon Hoon (1967-1995) alla voce, Roger Stevens e Cristopher Thorn alle chitarre, Brad Smith al basso e Glen Graham alla batteria. Arrivarono alla prima incisione già con una major, la Capitol Records, che credette nelle potenzialità della band e fu premiata dall'ottimo riscontro di pubblico. Il suono dei Blind Melon in questo album è tutto incentrato sull'alternanza delle due chitarre di Stevens e Thorn, che giocano a rincorrersi su due rette parallele destinate a non incontrarsi. Lo si ascolti in cuffia per rendersene conto: le chitarre seguono due linee melodiche diverse, al punto che non si può dire quale sia la ritmica e quale la solista. Nell'effetto stereofonico delle cuffie la sensazione è tangibile: per dirlo con parole semplici, il riff in cuffia sinistra è diverso da quello della cuffia destra, com'è evidente in brani come Soak the sin e Paper scratcher.
Tre sono le caratteristiche di questa band: spiccato gusto per la melodia, muro chitarristico che sovente si stempera in passaggi più soft e la meravigliosa voce di Shannon Hoon. Si ascolti in proposito Deserted, che incarna al meglio i tre elementi citati. Il suono è un crogiolo di generi diversi, dal grunge alla psichedelia, passando per il folk e il blues; oggi si parla genericamente di "rock alternativo", senza necessità di un inquadramento rigido. Pur non essendo ritenuti grunge in senso stretto, i Blind Melon presentano molte similitudini coi coevi Pearl Jam: non a caso il produttore di questo disco è il medesimo di Ten, ossia Rick Parashar (che in Italia ha lavorato coi Litfiba). I losangelini, però, a differenza dei più famosi di Seattle, inserivano nelle loro canzoni elementi folk, come in No rain e soprattutto in Change, dove addirittura fanno capolino armonica e mandolino. No rain è la hit un po' paracula, ma non è la migliore. L'iniziale Soak the sin, Change e Holyman sono una spanna sopra.
Il disco scorre dall'inizio alla fine senza cali di tensione o di ispirazione. Shannon Hoon regala un'ottima prova (su tutte, I wonder) e aumenta il rammarico su quanto avrebbe potuto dare ancora alla musica, se non fosse morto ad appena ventotto anni. Il disco sorprende proprio per la sua compiutezza, piuttosto insolita per una band al suo esordio. Tredici tracce per quasi un'ora di rock solido e senza tempo che potrebbe essere scritto oggi come quarant'anni fa o in un prossimo futuro. Perché se è vero che i Blind Melon non hanno inventato nulla, è altresì indiscutibile che questo lavoro sia invecchiato molto bene e sia tuttora capace di regalare emozioni, grazie anche a testi semplici ma intimisti. L'ho scoperto tardi e mi rammarico di non averlo conosciuto prima, perché sono convinto che avrebbe potuto essere una delle colonne sonore della mia adolescenza.
Non credo, come pure sostengono alcuni, che i Blind Melon siano una band sottovalutata. Hanno avuto i riconoscimenti che meritavano, sebbene la prematura scomparsa di Hoon abbia contribuito sia a farli entrare nella leggenda, sia a farli dimenticare dai più. Il primo e omonimo è un disco che lascia addosso un senso di freschezza e al contempo di malinconia, come il ricordo di una giovinezza sofferta che col senno di poi appare splendere di una grazia all'epoca impossibile da cogliere. Come detto, il quintetto capitanato da Hoon non ha inventato niente; tuttavia la loro era una pastiche piuttosto originale per quegli anni, che mescolava il solido rock alla Led Zeppelin con il roots sound degli anni Sessanta e la rivoluzione grunge dei Novanta. E se questo album non è oggi molto considerato, forse ciò è paradossalmente dovuto al grande successo commerciale di No rain, che all'epoca li fece apparire come ciò che non erano, dei fricchettoni fuori tempo massimo.
Foto tratte dal libretto interno e, sotto, la brutta ma celebre copertina
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