5 agosto 2025

"Viaggi con Charley alla ricerca dell'America" di John Steinbeck: un on the road a metà

Il viaggio in lungo e in largo attraverso gli Stati Uniti, coast to coast oppure da nord a sud, è un vero e proprio topos della letteratura nordamericana, da Kerouac fino ai giorni nostri. Tanti coloro i quali hanno tentato l'impresa per desiderio d'avventura utilizzando ogni mezzo, compresi quelli di fortuna; tra questi, numerosi giornalisti e scrittori che hanno lasciato dettagliati resoconti. Come noto, la letteratura di viaggio è ben più antica e conta opere decisamente più autorevoli e celebri, eppure è indubbio che gli States abbiano un fascino ineguagliabile che attira le anime inquiete o i semplici sognatori. Sarà per gli spazi immensi e la varietà del paesaggio, oppure per l'immaginario on the road costruito da decine di pellicole, oppure per la naturale seduttività di un territorio al tempo stesso fortemente antropizzato e selvaggio, fatto sta che non si contano i diari di viaggio e i romanzi dedicati al tema.
Persino un Premio Nobel ha voluto dare il suo personale contributo. Alla fine dell'estate del 1960 il cinquantottenne Steinbeck, già scrittore celebrato e famoso, decise di intraprendere un lungo viaggio nel suo Paese, seguendo un itinerario praticamente circolare che partiva da Sag Harbor, cittadina costiera dove aveva una seconda casa. Ciò che spinse Steinbeck a tentare l'impresa, sebbene non fosse più giovanissimo, fu l'urgenza di conoscere la propria patria, essendosi reso conto di non conoscerla affatto, o meglio di non conoscerla più. Negli ultimi tempi egli aveva vissuto prevalentemente a New York, in una dimensione artificiale, frenetica e multiculturale che nulla aveva a che vedere con lo spirito più profondo degli Stati Uniti. Il desiderio di recuperare quello spirito smarrito spinse dunque l'autore a organizzare meticolosamente un arduo viaggio in solitaria.
Oltre all'io narrante, due sono gli altri personaggi principali del libro, a cui ci si affeziona presto. Il primo è Charley, un cane di razza barbone francese che si rivela un'eccezionale compagnia soprattutto nelle fredde notti in solitaria. Ovviamente non parla, eppure è in grado di capire e di comunicare a modo suo. Il secondo è Ronzinante, nome perfetto per designare una specie di furgone camperizzato con potente motore V6 a benzina, dotato di ogni specie di comfort, compreso un letto doppio, una cucina, un tavolo ribaltabile e i servizi igienici. L'uomo, il cane e il furgone, come i tre amici del celebre romanzo di Jerome, partono così all'avventura, prediligendo le strade secondarie alle grandi arterie autostradali. Sul punto Steinbeck ha un'idea ben chiara: se vuoi conoscere e vedere il paese reale, non devi affidarti alle strade a grande e veloce scorrimento, in cui si passa senza guardarsi intorno, ma imboccare le vie secondarie, quelle che attraversano i villaggi, i boschi, le campagne, i motel e le rivendite di cianfrusaglie che crescono come funghi ai loro bordi. Una filosofia assai simile a quella di Least Heat-Moon nel suo altrettanto celebre (e forse finanche più bello) Strade blu.
Tuttavia, rispetto ad altri reportage simili, Viaggi con Charley non mi ha entusiasmato. Il motivo risiede nel fatto che il libro può essere suddiviso in due parti, la prima decisamente riuscita e la seconda meno coinvolgente. La prima parte copre pressappoco il primo quarto dell'itinerario seguito da Steinbeck, ossia la parte nord-orientale e quella settentrionale degli Stati Uniti, al confine con il Canada. La scrittura è trascinante, soprattutto quando l'autore racconta le lunghe nottate passate in solitaria ai bordi delle strade in bivacchi improvvisati: sembra quasi di essere al suo fianco a condividere l'avventura. Steinbeck si dilunga in particolari, descrive i paesaggi e le persone incontrate, condivide col lettore la sua quotidianità anche negli aspetti più prosaici. In parole povere, si percepisce il suo entusiasmo iniziale. La seconda metà, invece, sebbene copra la gran parte del tragitto, è frettolosa, come se la stanchezza avesse preso il sopravvento. L'autore ne è consapevole e non nasconde questo senso di fatica che lo colse in itinere; sebbene se ne apprezzi l'onesta, ne esce fuori un libro poco equilibrato nelle sue parti. L'entusiasmo delle prime pagine cede il passo alla stanchezza, le descrizioni da dettagliate diventano frettolose, si percepisce la voglia di Steinbeck di tornare a casa e mettere una pietra sopra quell'idea balzana, realizzata forse fuori tempo massimo. È dunque un on the road riuscito a metà, così come l'obiettivo ultimo del viaggio, riscoprire il vero spirito americano, che non può dirsi pienamente realizzato.
Al di là di questo aspetto, va rimarcato che il libro è ricco di riflessioni profonde e ancora attuali sul rapporto tra passato e presente, sull'inquinamento, l'urbanizzazione selvaggia, l'eterna lotta tra innovazione e tradizione, tra rispetto delle radici e desiderio di tagliarle una volta per tutte. È inoltre una feroce critica al consumismo, alla globalizzazione del pensiero, del linguaggio e dei bisogni, nonché un durissimo atto d'accusa contro le discriminazioni razziali che negli anni Sessanta del ventesimo secolo ancora infestavano gli Stati del Sud, Texas e Louisiana su tutti. Se volete ascoltare una voce autorevole su queste tematiche, lo consiglio; se invece cercate soltanto la pura evasione, meglio dirigersi su altri romanzi, come il celeberrimo Sulla strada, il citato Strade blu, oppure una qualsiasi delle opere di Bill Bryson.