31 agosto 2025

"Sulla collina nera" di Bruce Chatwin: il respiro di due vite

Questo libro è la prova che Chatwin non era solo un cronista di viaggi, veste in cui di solito viene ricordato, ma principalmente un ottimo narratore. Il racconto della vita dei fratelli Jones possiede infatti il respiro delle grandi saghe familiari, nonché un'impronta di perfetta compiutezza letteraria che appartiene soltanto ai grandi romanzi. Per quanto forse sia un giudizio azzardato, ritengo che Sulla collina nera non possa mancare in un'ideale biblioteca del Novecento europeo.
La vicenda è ambientata in Galles, ma potrebbe allo stesso modo svolgersi negli Stati Uniti rurali o in uno qualsiasi dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, oppure in Estremo Oriente; è infatti una storia profondamente britannica ma al tempo stesso universale. Chatwin ha saputo raccontarla secondo un punto di vista "locale" e tuttavia non provinciale, se è vero che, al netto dell'ambientazione, alcune delle tematiche trattate sono comuni a buona parte della letteratura novecentesca. Curioso è il fatto che proprio lui che ha girato il mondo e ha sempre prediletto gli spazi immensi e senza confini (si legga In Patagonia), abbia poi ambientato il suo più grande romanzo in uno spazio confinato, un lembo di terra gallese ai piedi della Black Hill, l'altura del titolo.
Sulla collina nera è principalmente la storia dei gemelli Benjamin e Lewis Jones. Invero il romanzo segue pedissequamente l'esistenza dei due, dalla nascita alla fine dell'Ottocento fino ai loro ultimi giorni negli anni Ottanta dello scorso secolo. Tuttavia si tratta di un'affermazione riduttiva, per quanto corretta. Chatwin infatti ha costruito un grande romanzo corale, cosicché si può ben dire che Sulla collina nera sia la storia di una comunità rurale che attraversa quasi senza accorgersene le grandi rivoluzioni del Ventesimo secolo: due guerre mondiali, la diffusione delle automobili, la nascita e lo sviluppo del trasporto aereo, le controculture, i movimenti di protesta, il subbuglio politico dell'epoca thatcheriana, le crisi economiche dei dopoguerra e le rinascite. Tutti questi eventi passano sopra quel pezzo di terra gallese e lo scalfiscono a poco a poco, pur non riuscendo a mutarne le solide radici più profonde. 
Lewis e Benjamin sono nati all'ombra della collina nera e ivi trascorrono tutta la loro esistenza, senza mai abbandonare la fattoria ereditata dai genitori, chiamata icasticamente "La Visione". Apparentemente indistinguibili, sono in realtà profondamente diversi. Lewis è un sognatore riottoso, recalcitrante ma infine sottomesso alle regole stabilite prima dai genitori e poi dal fratello; egli vorrebbe fuggire dalla Visione e condurre un'esistenza diversa, ma obtorto collo finisce per soccombere. Benjamin è pratico, poco avvezzo al mondo esterno e per nulla desideroso di conoscerlo; ama il gemello ai limiti dell'ossessione e lo lega a sé, in un'esistenza sempre uguale scandita soltanto dal ritmo delle stagioni. Benjamin è la catena che lega l'uomo alla terra, Lewis il cane che vorrebbe morderla per fuggire via. Ciononostante, gli anni passano uno dopo l'altro senza che i grandi cambiamenti della storia mutino le sorti degli abitanti della Visione e delle terre intorno.
Chatwin descrive una Gran Bretagna rurale in parte diversa da quella a cui ci avevano abituato scrittori come Hardy (La brughiera); egli rappresenta una campagna amena ma avara come quella dell'americano Caldwell, abitata da uomini e donne che conducono spesso un'esistenza misera e brutale. Benjamin e Lewis grazie al duro lavoro possono dirsi finanche agiati, eppure nulla godono delle loro ricchezze: rosi dall'ossessione dell'accumulare nuova terra, consumano la vita nell'ansia di sprofondare nella medesima miseria di alcuni loro vicini. Per questo non hanno tempo di volgere lo sguardo al progresso e si chiudono sempre di più nelle loro abitudini. La Visione è dunque il loro hortus conclusus, uno spazio chiuso che al tempo stesso li preserva e li limita. Chatwin tuttavia non giudica i gemelli, posa uno sguardo benevolo su di loro, li tratta come gli ultimi eredi di una razza in via di estinzione, tenacemente refrattaria alla modernità e protagonista di una storia senza tempo.
Lo stile merita una riflessione a parte. Dialoghi e parti descrittive sono perfettamente dosati, soluzione tanto più necessaria in quanto il libro copre più di ottant'anni in poco meno di trecento pagine. Dense e vivide sono poi le descrizioni del paesaggio rurale inglese, arricchite da innumerevoli nomi di arbusti, fiori rari, alberi e uccelli.
Sebbene non sia consigliabile a chi cerca nei libri le emozioni forti, Sulla collina nera è un romanzo potente e armonioso, che conquista alla distanza.

19 agosto 2025

"Quattro amici" di David Trueba: l'inutile fuga

La letteratura picaresca, come noto, è nata in Spagna, dove gode di lunga tradizione. Nei romanzi picareschi il protagonista e io narrante di solito intraprende un viaggio, spesso per fuggire da qualcuno o qualcosa e comunque senza una meta predefinita, oppure semplicemente per cercare fortuna. Si imbarca così in ogni sorta di avventura, anche di tipo erotico o delittuoso. Il picaro è caratterizzato da intraprendenza e furbizia, è un intrepido, uno sfrontato che vive di espedienti e improvvisazione. Ogni sua giornata è costellata di imprevisti, peripezie al tempo stesso divertenti, tragiche e grottesche.
Quattro amici, del madrileno Trueba, presenta qualche affinità con il genere picaresco, ne è una sorta di appendice contemporanea con tutte le differenze del caso. Pubblicato per la prima volta nel 1999, può essere definito un romanzo "estivo" secondo una duplice accezione. In primis perché racconta una vicenda ambientata in un torrido agosto di fine secolo; in secondo luogo perché è un libro disimpegnato che si legge con disinvoltura, come nella migliore tradizione delle letture da ombrellone. E invero, sebbene contenga anche delle riflessioni profonde, l'elemento preponderante è quello dell'avventura scollacciata, raccontata con uno stile leggero che spesso trascende nello scurrile.
I quattro amici del titolo hanno tre elementi in comune: sono madrileni, alla soglia dei trent'anni e percepiscono la propria esistenza come una successione di fallimenti. Anzi, è proprio l'idea del fallimento esistenziale che cementa la loro amicizia, nella compassione che ciascuno prova per se stesso e per gli altri. Il primo è Solo, l'io narrante; giornalista d'insuccesso, è reduce dalla fine di una storia d'amore che lo ha lasciato inerme e depresso. Nutre inoltre una forte ostilità nei confronti dei genitori, che invece possono definirsi persone di successo. Poi c'è Blas, studente fuori corso e figlio di un militare franchista; è ossessionato dal sesso e dall'incapacità di soddisfare i propri desideri. Il terzo è Raúl, all'apparenza l'unico realizzato in quanto è sposato e ha due gemelli; in verità, vive il matrimonio e la paternità come due gabbie da cui non può uscire. Infine c'è Claudio, il bello del gruppo, che passa da una relazione fugace all'altra senza volersi realmente impegnare ed è intrappolato in un lavoro misero.
Il nucleo centrale del romanzo è il viaggio che i quattro amici decidono di intraprendere lungo le strade assolate della Spagna di fine agosto, senza una meta e a bordo di un furgoncino appartenuto a un rappresentante di prodotti caseari. Quindici giorni senza regole alla ricerca costante di sesso facile, alcool e divertimento estremo. Più che una vacanza, una vera e propria fuga da mogli, genitori e dai problemi: quindici giorni di pura anarchia nella speranza di ridare vita artificiosamente al fantasma della perduta adolescenza. I quattro simpatici personaggi tratteggiati da Trueba sono degli immaturi, uomini nel fisico ma ragazzini nell'animo. Essi non vogliono farsi carico delle responsabilità che la vita adulta impone e pertanto si rifugiano nel ventre caldo della loro antica amicizia, provando a rivivere le stesse esperienze ed emozioni di quando avevano dieci anni di meno e nessuna responsabilità sulle spalle. Il viaggio è disseminato di incontri grotteschi, epiche ubriacature e fugaci appuntamenti con donne, a loro volta preda di un'analoga solitudine esistenziale. I quattro attraversano paesaggi assolati, riposano su spiagge sporche e sovraffollate, dormono in tenda o in squallidi alberghi, frequentano locali notturni e night, si ubriacano fino a perdere coscienza e commettono anche qualche reato; eppure, nonostante tutte le peripezie, non riescono a trovare le emozioni che stavano cercando. Alla fine dovranno ammettere a se stessi che l'adolescenza è una stagione irripetibile e dolce, ma non prolungabile all'infinito. Ciò che resta è il valore dell'amicizia e dello stare insieme.
«Guardai Blas e Claudio seduti vicino a me, e compresi, in un certo senso, che cos'è l'amicizia. È una presenza che non ti evita di sentirti solo, ma rende il viaggio più leggero.»
Come ho già scritto, è una lettura leggera e senza grandi pretese. Il linguaggio utilizzato da Trueba è estremamente realistico, con abbondanza di parolacce e turpiloquio. Tuttavia, sarebbe semplicistico bollare il romanzo come un prodotto letterario di pura evasione. Quattro amici, infatti, fa divertire ma anche ragionare, perché contiene diversi spunti di riflessione – forse non particolarmente originali ma egualmente validi – su tematiche come il rapporto tra amore e amicizia, il ruolo delle convenzioni borghesi nell'orientare le scelte di ciascuno, la solitudine dell'uomo contemporaneo e la sua volontaria fuga dalle responsabilità. Un problema, quest'ultimo, già sentito venticinque anni fa e quanto mai attuale.

5 agosto 2025

"Viaggi con Charley alla ricerca dell'America" di John Steinbeck: un on the road a metà

Il viaggio in lungo e in largo attraverso gli Stati Uniti, coast to coast oppure da nord a sud, è un vero e proprio topos della letteratura nordamericana, da Kerouac fino ai giorni nostri. Tanti coloro i quali hanno tentato l'impresa per desiderio d'avventura utilizzando ogni mezzo, compresi quelli di fortuna; tra questi, numerosi giornalisti e scrittori che hanno lasciato dettagliati resoconti. Come noto, la letteratura di viaggio è ben più antica e conta opere decisamente più autorevoli e celebri, eppure è indubbio che gli States abbiano un fascino ineguagliabile che attira le anime inquiete o i semplici sognatori. Sarà per gli spazi immensi e la varietà del paesaggio, oppure per l'immaginario on the road costruito da decine di pellicole, oppure per la naturale seduttività di un territorio al tempo stesso fortemente antropizzato e selvaggio, fatto sta che non si contano i diari di viaggio e i romanzi dedicati al tema.
Persino un Premio Nobel ha voluto dare il suo personale contributo. Alla fine dell'estate del 1960 il cinquantottenne Steinbeck, già scrittore celebrato e famoso, decise di intraprendere un lungo viaggio nel suo Paese, seguendo un itinerario praticamente circolare che partiva da Sag Harbor, cittadina costiera dove aveva una seconda casa. Ciò che spinse Steinbeck a tentare l'impresa, sebbene non fosse più giovanissimo, fu l'urgenza di conoscere la propria patria, essendosi reso conto di non conoscerla affatto, o meglio di non conoscerla più. Negli ultimi tempi egli aveva vissuto prevalentemente a New York, in una dimensione artificiale, frenetica e multiculturale che nulla aveva a che vedere con lo spirito più profondo degli Stati Uniti. Il desiderio di recuperare quello spirito smarrito spinse dunque l'autore a organizzare meticolosamente un arduo viaggio in solitaria.
Oltre all'io narrante, due sono gli altri personaggi principali del libro, a cui ci si affeziona presto. Il primo è Charley, un cane di razza barbone francese che si rivela un'eccezionale compagnia soprattutto nelle fredde notti in solitaria. Ovviamente non parla, eppure è in grado di capire e di comunicare a modo suo. Il secondo è Ronzinante, nome perfetto per designare una specie di furgone camperizzato con potente motore V6 a benzina, dotato di ogni specie di comfort, compreso un letto doppio, una cucina, un tavolo ribaltabile e i servizi igienici. L'uomo, il cane e il furgone, come i tre amici del celebre romanzo di Jerome, partono così all'avventura, prediligendo le strade secondarie alle grandi arterie autostradali. Sul punto Steinbeck ha un'idea ben chiara: se vuoi conoscere e vedere il paese reale, non devi affidarti alle strade a grande e veloce scorrimento, in cui si passa senza guardarsi intorno, ma imboccare le vie secondarie, quelle che attraversano i villaggi, i boschi, le campagne, i motel e le rivendite di cianfrusaglie che crescono come funghi ai loro bordi. Una filosofia assai simile a quella di Least Heat-Moon nel suo altrettanto celebre (e forse finanche più bello) Strade blu.
Tuttavia, rispetto ad altri reportage simili, Viaggi con Charley non mi ha entusiasmato. Il motivo risiede nel fatto che il libro può essere suddiviso in due parti, la prima decisamente riuscita e la seconda meno coinvolgente. La prima parte copre pressappoco il primo quarto dell'itinerario seguito da Steinbeck, ossia la parte nord-orientale e quella settentrionale degli Stati Uniti, al confine con il Canada. La scrittura è trascinante, soprattutto quando l'autore racconta le lunghe nottate passate in solitaria ai bordi delle strade in bivacchi improvvisati: sembra quasi di essere al suo fianco a condividere l'avventura. Steinbeck si dilunga in particolari, descrive i paesaggi e le persone incontrate, condivide col lettore la sua quotidianità anche negli aspetti più prosaici. In parole povere, si percepisce il suo entusiasmo iniziale. La seconda metà, invece, sebbene copra la gran parte del tragitto, è frettolosa, come se la stanchezza avesse preso il sopravvento. L'autore ne è consapevole e non nasconde questo senso di fatica che lo colse in itinere; sebbene se ne apprezzi l'onesta, ne esce fuori un libro poco equilibrato nelle sue parti. L'entusiasmo delle prime pagine cede il passo alla stanchezza, le descrizioni da dettagliate diventano frettolose, si percepisce la voglia di Steinbeck di tornare a casa e mettere una pietra sopra quell'idea balzana, realizzata forse fuori tempo massimo. È dunque un on the road riuscito a metà, così come l'obiettivo ultimo del viaggio, riscoprire il vero spirito americano, che non può dirsi pienamente realizzato.
Al di là di questo aspetto, va rimarcato che il libro è ricco di riflessioni profonde e ancora attuali sul rapporto tra passato e presente, sull'inquinamento, l'urbanizzazione selvaggia, l'eterna lotta tra innovazione e tradizione, tra rispetto delle radici e desiderio di tagliarle una volta per tutte. È inoltre una feroce critica al consumismo, alla globalizzazione del pensiero, del linguaggio e dei bisogni, nonché un durissimo atto d'accusa contro le discriminazioni razziali che negli anni Sessanta del ventesimo secolo ancora infestavano gli Stati del Sud, Texas e Louisiana su tutti. Se volete ascoltare una voce autorevole su queste tematiche, lo consiglio; se invece cercate soltanto la pura evasione, meglio dirigersi su altri romanzi, come il celeberrimo Sulla strada, il citato Strade blu, oppure una qualsiasi delle opere di Bill Bryson.