29 settembre 2025

"Un amore" di Dino Buzzati: cronaca di un'ossessione

Romanzo anomalo nella produzione di Buzzati, Un amore è la cronaca di un'ossessione. Nella Milano brulicante di vita del boom si consuma il dramma privato di Antonio Dorigo, architetto e scenografo alla soglia dei cinquant'anni che conosce soltanto l'amore mercenario. Scapolo per inadeguatezza più che per scelta, si innamora della ventenne Laide quando si era ormai convinto che la vita non gli avrebbe più regalato alcuna emozione. Nonostante la giovane età, Laide è un inestricabile mistero. Antonio la conosce come prostituta, ma la ragazza afferma di essere ballerina alla Scala. Si concede per denaro eppure non accetta il patto di esclusività che Antonio le propone, disposto a dar fondo alle proprie finanze per mantenerla, pur di averne l'esclusività. L'attrazione fisica diventa innamoramento e l'innamoramento ossessione, fino al punto che Antonio perde se stesso, occupando le proprie giornate col pensiero fisso della giovane.
Bella, cinica, indipendente, spregiudicata ai limiti dell'immoralità, promiscua e bugiarda, Laide conduce Antonio sull'orlo della follia perché è un essere del tutto incomprensibile e sfuggente. In lei non è possibile scindere la bugia dalla verità, entrambe sembrano avere il medesimo peso specifico e la stessa credibilità. Racconta palesi bugie, eppure è così convincente che queste assumono la dignità dell'assoluta verità, almeno agli occhi di Antonio. Buzzati ha creato un personaggio femminile difficile da dimenticare; Laide è una figura moderna, figlia di un'epoca, gli anni Sessanta, che ha visto la liberazione dei costumi, in special modo quelli sessuali, nonché il consolidamento del processo di emancipazione femminile iniziato alla fine del secolo precedente. C'è dunque una differenza anche generazionale tra Antonio e Laide: il primo ha fatto la guerra ed è legato ancora all'idea obsoleta che il denaro gli dia un potere assoluto di assoggettamento delle donne. La seconda è una figlia del boom perfettamente integrata nel proprio tempo e non esita a vendere il corpo senza che ciò la renda una schiava. Intorno ai due protagonisti si muovono pochi personaggi secondari, figure di contorno appena abbozzate la cui irrilevanza amplifica la perversione del nucleo duale costituito dagli amanti. Eppure, a veder bene, c'è un terzo protagonista: la Milano frenetica e proiettata al futuro del boom. La storia è ambientata nell'anno 1960, quando ormai le tracce del conflitto mondiale erano sparite; la città cresceva, si avviluppava su se stessa, con le sue guglie, palazzi, grattacieli, torri e condomìni. Le vecchie case di ringhiera resistevano negli stretti vicoli al confine del centro storico, ma un po' alla volta cedevano il passo ai simboli della modernità: caffè alla moda al posto delle latterie, night club al posto delle balere, uffici e sedi di neonate società che agognavano una fetta di capitalismo.
In questo contesto di disarmo urbano si sviluppa l'incastro malato tra Antonio e Laide, un amore (ma è davvero tale?) non convenzionale ostacolato dalle convenzioni borghesi. È qui la grande colpa di Antonio, ennesima dimostrazione della sua inettitudine: anziché chiedere a Laide di sposarlo, le propone uno squallido accordo economico. Timoroso di perdere la propria credibilità facendosi vedere al fianco della giovane, egli sottoscrive così la propria rovina, amplificata, a mio modesto avviso, dall'ambiguo finale.
Un'altra tematica centrale del romanzo è il divario generazionale, tanto più evidente in anni in cui la società andava incontro a cambiamenti repentini. Seguendo questo filone interpretativo, assistiamo a una sorta di inversione di ruoli: Antonio, già sull'orlo della senescenza, mantiene l'adolescenziale fiducia nell'amore come soluzione a tutti i suoi problemi esistenziali; d'altro canto Laide, appena ventenne, possiede già il cinismo e la spregiudicatezza di chi non si aspetta più nulla dalla vita.
Un amore è un romanzo ancora attuale perché certi meccanismi e incastri sentimentali "malati" fanno parte del complesso gioco delle relazioni umane, oggi come allora. Cambiano forse gli strumenti – si pensi alle possibilità di controllo che oggi sono offerte dagli smartphone – ma l'ossessione e il desiderio di possesso sono costanti nel tempo. E Buzzati ha saputo raccontare magistralmente tale tema, pur allontanandosi dai suoi soliti terreni d'elezione letteraria.
Copertina di una vecchia edizione Oscar Mondadori

14 settembre 2025

"Rosa Bronzo, l'ammazzabimbi di Vallo della Lucania" di Giuseppe Galzerano: la fabbricatrice di angeli

Quando la cronaca ci porta a conoscenza di efferati delitti, siamo indotti a credere che siano il frutto della modernità, di una "società malata" che ha perso i valori di un tempo. Si tratta di una falsa percezione, un pregiudizio dettato dalla scarsa conoscenza del presente e soprattutto del passato. Scartabellare i vecchi giornali ci restituisce invece vicende terrificanti e del tutto dimenticate che raramente potrebbero verificarsi ai giorni nostri. Tale attività di ricerca è stata condotta dallo storico cilentano Giuseppe Galzerano che ha riportato alla luce una storia terribile avvenuta circa centocinquanta anni fa, di cui si erano perse le tracce e la memoria.
Rosa Bronzo era una donna di Vallo della Lucania, cittadina in cui alla fine dell'Ottocento gran parte della popolazione viveva in condizioni misere, pur essendo capoluogo di circondario. La Bronzo era nota alla giustizia per una vecchia condanna per furto aggravato che le era costata un periodo in carcere. Intorno al 1877, costretta dall'indigenza, si inventò un lavoro che si rivelò remunerativo: accogliere nella propria casa i neonati indesiderati, perché nati al di fuori del matrimonio o frutto di relazioni adulterine, incaricandosi di condurli all'orfanotrofio di Salerno. La "ruota" di Vallo era stata infatti abolita nel 1875 e il viaggio fino a Salerno era un'odissea per quanti avrebbero voluto affidare i neonati alla pubblica misericordia, in assenza di ferrovie e di strade degne di questo nome. In breve la casa di Rosa divenne meta di tante madri disperate che le lasciavano i loro bimbi, il cui numero esatto non è mai stato accertato. La Bronzo, per rendere più remunerativa l'attività, decise di intraprendere il periodico viaggio verso Salerno dopo aver raccolto un numero sufficiente di bambini, anziché portarne uno alla volta. Non aveva però di che sfamarli e così alcuni neonati morirono di stenti. Altri li ammazzò la stessa Rosa, o strozzandoli con le proprie mani perché esasperata dai pianti, o avvelenandoli con potenti dosi di estratto di papavero, una sorta di sonnifero naturale. Molti sapevano, anche alcune madri, ma il senso di vergogna e l'omertà consentirono a Rosa di operare indisturbata per quasi due anni, fino alla perquisizione della sua abitazione, al ritrovamento dei poveri resti di numerosi bambini e all'arresto da parte dei Carabinieri. Il numero esatto di vittime non è stato mai accertato.
Giuseppe Galzerano, storico molto conosciuto nel Cilento e titolare dell'omonima casa editrice, imbattutosi per caso in un articolo di giornale dell'epoca, ha deciso di far venire alla luce una storia da brivido che nessuno più ricordava, nemmeno nel paese natale. Attraverso un lungo lavoro di ricerca, Galzerano ha riportato nel suo saggio tutti gli articoli di giornale che si occuparono del caso della "fabbricatrice di angeli", come la definì il neonato (all'epoca) Corriere della Sera. Nel libro sono così riportati stralci del Roma, della Gazzetta dei tribunali, della Gazzetta Piemontese, de Il Carabiniere e finanche di Le Figaro, in quanto la vicenda destò orrore anche oltralpe.
Nonostante il lavoro archivistico, l'autore spiega a malincuore come non sia riuscito a trovare l'incartamento del processo. Neppure si sa con certezza se la Bronzo fu giudicata dalla Corte di Assise di Vallo o da quella di Napoli. Il Corriere della Sera parla di una condanna a vita ai lavori forzati, ma dopo questo trafiletto la notizia scompare dalle cronache e con essa l'inquietante figura di Rosa Bronzo. Come si è difesa durante il processo? Cosa hanno sostenuto l'accusa e la difesa? Dove ha scontato la sua pena? Dove e quando è morta? Ha ottenuto la grazia o uno sconto di pena, oppure è morta durante l'esecuzione della condanna? Domande legittime che finora sono rimaste senza risposta, come evidenzia l'autore del saggio. La speranza è che prima o poi emergano nuovi documenti che possano chiarire gli esiti e il perché di una vicenda così macabra e oscura. I motivi dell'agire di Rosa potrebbero essere molteplici: una patologia psichiatrica, l'invidia per non essere mai diventata madre lei stessa, oppure semplicemente un movente economico, una squallida storia di estrema indigenza nel misero Cilento di fine Ottocento.
Personalmente non seguo la cronaca nera, anzi la evito in quanto non ho mai provato interesse per queste vicende di sangue. Il saggio è invece consigliato alla nutrita schiera di "appassionati" di biografie di serial killer. Io ho acquistato il libro principalmente perché sono interessato alla storia del Cilento e in effetti il saggio restituisce il quadro desolante di una terra a quel tempo divisa tra credenze ancestrali (il sangue, l'onore) e tendenze modernizzatrici del pensiero, destinate infine a prevalere.