8 novembre 2025

"Poco zucchero", il cinico e tagliente Faust’O

A fine anni Settanta si affermarono nuovi volti nella fitta schiera del cantautorato nostrano. Personaggi diversi dal cliché dell'artista impegnato "di sinistra" che aveva furoreggiato nel decennio, i quali presentavano una proposta musicale diversa, spesso più vicina alle influenze straniere. Penso all'ironia graffiante di Alberto Fortis, oppure al mitteleurock di Gino D'Eliso, fino ad arrivare alle tentazioni art-rock di Garbo qualche anno dopo. Tra questi, una figura ancora più radicale che merita un discorso a parte è quella di Fausto Rossi, nativo di Sacile e più conosciuto con lo pseudonimo di Faust'O.
Aveva esordito nel 1978 con un album dalle tinte forti e dal titolo eloquente: Suicidio. Conteneva brani come Benvenuti tra i rifiuti, Godi, Bastardi e Il mio sesso, veri e propri gioielli di piccolo culto ancora ricordati da una sparuta schiera di fedelissimi, come si evince da una sommaria ricerca sulla rete. L'anno successivo fu la volta di Poco zucchero, secondo lavoro in studio pubblicato nel 1979 dall'etichetta Ascolto di Caterina Caselli. Fu registrato nei mesi di febbraio e marzo presso il "Radius Studio" sotto la sapiente produzione artistica dello stesso Faust'O e del compianto Alberto Radius. Nutrita e di livello la schiera dei musicisti coinvolti, tra cui Claudio Pascoli al sax, Walter Calloni e Tullio De Piscopo alle percussioni, Radius alla chitarra elettrica e il bassista statunitense Julius Farmer. Fausto Rossi, oltre a cantare, suona tastiere e sintetizzatori, tra cui l'italico polifonico Crumar.
Nell'iniziale Vincent Price, scritta a quattro mani con Oscar Avogadro, si nota il tocco di Radius: è un pezzo marcatamente rock con chitarra elettrica in evidenza, in cui la figura dell'istrionico attore statunitense, noto per aver interpretato celebri pellicole horror, diventa la metafora per esprimere un messaggio inquietante: è fuorviante cercare il mostro negli altri, il mostro è dentro di noi, anzi siamo noi.
«Ma quando alla mattina scopri allo specchio
la faccia che hai,
e mentre fai la barba giunge un suono all'orecchio:
sta russando anche lei.
Dubbi ormai non hai più,
quei due occhi e quel mostro sei tu.»
Spesso il nome di Faust'O è associato alla new wave, quantomeno per la prima fase della sua carriera di cui fa parte anche Poco zucchero. In questo LP le influenze del genere appaiono effettivamente marcate, soprattutto in virtù dell'ampio uso di tastiere e sintetizzatori che regalano quel suono algido tipico appunto della new wave. Si ascolti Il lungo addio, un'anomala canzone d'amore dalle atmosfere glaciali e rarefatte che sostengono la voce tagliente del cantautore. Il brano, forse il migliore della scaletta, ricorda Vienna degli Ultravox, con la precisazione che il capolavoro della band inglese fu pubblicato quasi due anni dopo. Altre canzoni si allontanano invece dal genere citato, come l'intensa Attori malinconici o la radiofonica Oh! Oh! Oh!, più vicine a un pop raffinato. Il canto si fa sussurro in Kleenex, altro pezzo di culto, con un testo che sfida la buona creanza e osa varcare i limiti della comune decenza. D'altronde, le liriche che inquietano sono il suo marchio di fabbrica, ora sinistramente ironiche, ora dirette come un gancio in faccia.
«La mia lingua su un tampax
sfiora la castità,
per servirti ho il mio Rolex,
per freddarti ho l'età.»
L'album, della durata di poco più di trenta minuti, si chiude con i sette minuti di Funerale a Praga. L'inizio è quasi di matrice progressiva, in stile Pink Floyd; quando però arriva la voce salmodiante di Faust'O, il pezzo assume un incedere funereo, fino alla meravigliosa coda finale di sintetizzatori e sassofono.
Provocazione, feroce sarcasmo e attitudine punk sono le chiavi di lettura di questo album e più in generale dell'intera produzione di Fausto Rossi, figura anomala e anarchica nel panorama cantautoriale nostrano. Conosciuto da pochi, idolatrato da un manipolo di irriducibili appassionati, di lui si può dire tanto, nel bene o nel male, ma di certo gli vanno riconosciute la coerenza e la capacità di seguire una strada diversa da quella battuta dagli altri. Poco zucchero è un disco cinico e tagliente, come lo sguardo sul mondo di questo artista.

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