Tzvetan Todorov – La letteratura fantastica
Nel 1970 il critico e filologo bulgaro Tzvetan Todorov diede
alle stampe questo saggio, vero e proprio punto di riferimento per ogni
studioso di letteratura fantastica.
Secondo l’autore, il racconto fantastico, per esistere, ha
bisogno che siano soddisfatte tre condizioni: il lettore deve considerare i
personaggi come persone viventi ed esitare tra una spiegazione naturale e una
soprannaturale; anche i personaggi possono provare la stessa esitazione; il
lettore deve rifiutare sia l’interpretazione allegorica che quella poetica.
Il fantastico nasce quando in un mondo che è sicuramente il
nostro, quello che conosciamo, si verifica un avvenimento che non è possibile
spiegare con le leggi del mondo che ci è familiare. Colui che percepisce
l’avvenimento può optare per due soluzioni: o si tratta di un’illusione dei
sensi (e allora le leggi del mondo permangono le stesse), oppure l’avvenimento
è realmente accaduto (allora la realtà è governata da leggi a noi ignote). Il
fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza; è dunque l’esitazione
provata da un essere, il quale conosce soltanto le leggi naturali, di fronte ad
un avvenimento apparentemente sovrannaturale.
Esistono dunque fenomeni strani che si possono spiegare in
due modi: la possibilità di esitare fra le due spiegazioni (naturale e non)
crea l’effetto fantastico. Tutti i principali autori di racconti fantastici
credono, secondo Todorov, che siano possibili avvenimenti di due ordini
diversi; qualcuno (il lettore o il personaggio) deve scegliere tra il mistero,
l’inesplicabile e “l’inalterabile legalità quotidiana”.
L’autore pensa che la formula del fantastico sia riassunta
in una frase del Manoscritto trovato a Saragozza del polacco Potocky, quando il
protagonista, catapultato in una serie di eventi inspiegabili, riferisce:
“Arrivai quasi a credere”. È il quasi che determina il fantastico, il permanere
dell’incertezza. Nel racconto fantastico è innanzitutto il protagonista a
dubitare.
Todorov spiega altresì che il racconto fantastico si pone ad
un livello particolare di interpretazione del testo, che non è né allegorico,
né poetico. Dell’allegoria fanno parte le fiabe, che contengono elementi
sovrannaturali senza che il lettore si interroghi mai sulla loro natura: se
parlano gli animali non ci coglie alcun dubbio, sapendo che ci troviamo ad un
livello del testo detto allegorico. L’interpretazione poetica non è fantastica,
perché alla poesia non si chiede di essere rappresentativa della realtà, non si
cerca di andare al di là delle parole. Il fantastico, dunque, implica una
maniera di leggere particolare, che può essere definita solo negativamente: una
lettura né allegorica né poetica. Todorov conclude la sua definizione del fantastico
spiegandone lo scopo, che è conoscitivo: “al di là del piacere, della curiosità
e di tutte le emozioni che suscitano questi racconti lo scopo reale del viaggio
meraviglioso e fantastico è l’esplorazione più completa della realtà
universale”.
Tommaso Landolfi – La pietra
lunare
Romanzo a metà strada tra il fantastico e il surreale,
pubblicato nel 1939, narra la singolare avventura di Giovancarlo, che, tornato
al paese natale per le vacanze estive, incontra una strana ma sensuale ragazza
di nome Gurù, che in alcune notti dell’anno si trasforma in capra (è una
capra-mannara, come tiene a precisare il narratore). La relazione tra i due si
trasforma in un’intensa storia d’amore, che svelerà agli occhi del giovane
l’altra faccia del reale, quella che si nasconde dietro l’apparenza delle cose.
Durante un memorabile sabba notturno in una radura nel bosco, egli avrà modo di
assistere alla trasformazione della ragazza e di conoscere personaggi spettrali
e mitici, usciti dal mondo onirico dell’inconscio.
Le bizzarrie fantastiche di Landolfi possono essere
associate alla dimensione del “fantastico quotidiano”, secondo la definizione
di Calvino, poiché non portano ad un altro mondo, ma sono il risultato della
quotidianità, esprimendone il risvolto magico. Dietro l’apparente razionalità
del nostro mondo, specie quello bieco della provincia addormentata, si nasconde
un lato misterioso e spesso ineffabile. É così possibile cogliere il
significato del sottotitolo del romanzo, “Scene della vita di provincia”, un
sottotitolo realistico, che vuole mostrare il rapporto stretto tra realtà e
fantastico. Secondo Landolfi, l’assurdo è “il regolare stravolgimento della
normalità”, perché in esso si combinano due elementi contrari: il quotidiano
svolgersi della vita e un mondo “altro”, che emerge dal primo senza alcuna
apparente frattura. Come evidenziato dal critico Russi, tre sono le componenti
del fantastico landolfiano: il retaggio dei racconti popolari e dei miti
contadini, la corrente del c.d. realismo magico e l’influenza del pensiero
freudiano.
Interessantissima appare la postilla dell’opera, un immaginario
“Giudizio del Sig. Giacomo Leopardi sulla presente opera”. È qui contenuta la
summa del pensiero landolfiano: “un uomo tanto meno sarà grande quanto più sarà
dominato dalla ragione; tutti quelli che possono esser grandi nella poesia e
nelle lettere devono esser dominati dalle illusioni. (...) Mentre l’uomo si
allontana da quella puerizia in cui tutto è singolare e meraviglioso, in cui
l’immaginazione sembra non abbia confini, allora l’uomo perde la capacità di
esser sedotto, diventa artificioso, cade tra le branchie della ragione che gli
va a ricercare tutti i segreti della realtà. Ma questo senno e questa
esperienza sono la morte della poesia”.
La metamorfosi è l’altro grande tema del romanzo, la
metafora più nitida per esprimere il trasformarsi continuo della realtà nell’irrealtà
ad essa sottesa. Non è solo Gurù a cambiare (da donna a capra-mannara), ma è lo
stesso Giovancarlo che muta profondamente visione del mondo, sino ad aderire
intimamente alla profonda e volubile realtà della vita e delle cose.
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