Storico
chitarrista dei CCCP/CSI, autore di colonne sonore e di sei album da solista, nonché scrittore, Massimo Zamboni è uno dei
personaggi più interessanti del panorama musicale (e non solo) italiano, se non
altro per lo sguardo non conforme con cui guarda le cose. Presto in tour
assieme a Fatur con lo spettacolo Tira ovunque un’aria sconsolata (di cui allego
locandina e presentazione), è stato così gentile da rilasciarmi una breve
intervista.
Domanda.
Lei è un artista eclettico, scrittore oltre che musicista. Qual è il suo
rapporto con la letteratura? Quali sono le sue letture abituali?
Risposta.
Ora sono sotto un incantesimo che si chiama Anna Maria Ortese. Per una
concordanza di sentire che mi lascia sempre sbigottito. Se volete leggere
qualcosa, un suo piccolo libro edito da Adelphi: Corpo Celeste. Quest'anno
cade il centenario della sua nascita, qualcuno se ne ricorderà?
D.
L’Emilia, Berlino, Mostar, la Mongolia, l’Artide. La sua vicenda umana e
professionale sembra fatta di un intersecarsi di strade, percorsi e chilometri.
Il viaggio è solo fonte di ispirazione, oppure è ricerca continua di nuovi
linguaggi?
R.
Il viaggio è linguaggio di per sé, alfabeto rinnovato se non si accontenta del
mero consumo o della conta dei
chilometri. La Mongolia mi ha letteralmente reinsegnato la parola, Berlino me
l'ha donata, Mostar l'ha tolta e poi ridata.
D.
Ancora conservo il ritaglio della rivista Musica!, quando i Csi annunciarono
il loro scioglimento. Il titolo era: “Csi addio, travolti da troppo successo”.
Per me fu una rivelazione e un grande insegnamento: mai avevo creduto si
potesse “morire” di successo. Qual è il pericolo insito nella fama?
R.
Uno solo: l'isolamento. Essere altro da tutti, e anche da sé. E divenire
“altro” anche per quelli con cui condividi l'esperienza. Un meccanismo da
animale soddisfatto e insaziato che oggi mi disgusta.
D.
Dopo sessant'anni di ideologia e ortodossia, ci dicono che siamo in un’epoca
post-ideologica, dove i vecchi canoni non valgono più e non c’è nulla in cui
valga la pena di credere. E’ proprio così, oppure è il sistema, che dopo aver
avuto bisogno di un’umanità schierata, ora ci vuole tutti conformi, inglobati
in un pensiero unico?
R.
Decisamente così. Non conosco questo “sistema” di nome e di cognome, lo vedo in
faccia però, e non va ascoltato, nelle buone o nelle cattive ragioni che porta
con sé. A tutto vale la pena di credere, non solo le vecchie parole consunte,
ma anche l'alzarsi la mattina e il trascorrere del giorno.
D.
Da sempre ho cercato di dare una definizione al “chitarrista Zamboni”, senza
riuscirci. Per me, lei è semplicemente “il suono” dei Cccp/Csi, come entità
separata rispetto ai testi e all’ideologia. Che definizione darebbe di se
stesso come musicista?
R.
Mah, non mi sono mai sentito tale, non saprei: leggo cose che mi riguardano e
penso che parlino di qualcun altro, poi a volte mi ricollego con questa
immagine cui fatico a corrispondere. Una definizione? “Passavo di lì, ho
cercato di dare il meglio che potevo.”
D.
Quali sono i suoi progetti futuri? In particolare, in cosa consiste lo
spettacolo Tira ovunque un’aria sconsolata, assieme a Fatur?
R.
Un viaggio nell'Italia sconsolata, senza cronache o incitamenti. Uno spettacolo
omeopatico, dove al disastro attuale cerchiamo di rispondere accentuandolo.
Massimo Zamboni
TIRA OVUNQUE UN'ARIA SCONSOLATA (Grand tour in little Italy)
Un Grand Tour nella piccola italia che va in rovina e che
necessita di essere vista e raccontata per gli increduli che verranno dopo di
noi. Musica per i tempi nuovi, dove si canta la sfinita bellezza del nostro
Paese per una parte della sua gente. Impresa quasi disperante, nell'ora della
nostra serafica demolizione. Come intellettuali dei secoli passati, in viaggio di
istruzione lungo il nostro Paese andiamo a respirare l'aria che tira per
incontrare tutto quello che la televisione mostra, detratti i sorrisi e le
menzogne. L'esistenzialismo elettrico di MZ, accompagnato dalla mole augusta di
Danilo Fatur, “artista del popolo” di CCCP-Fedeli alla linea, e dalle sonorità
di Cristiano Roversi in uno spettacolo di buskerismo estremo, in cui muoversi
come si fosse in strada, stazione o angolo desolato, tra rottami e rifiuti,
involti di plastica, cartelli strappacuore. Il set di un dramma collettivo dove
si elemosinano parole e canzoni. Sono di rigore le
monetine.
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta l'articolo!