Marquee moon dei
Television è uno di quei dischi perfetti, che hanno l’ostinata capacità di
resistere agli anni e alle mode. Un lavoro diverso da ogni altro,
originalissimo e dal suono inconfondibile. L’anno era il 1977, quando i clamori
del punk, dopo due anni o poco più, erano già sul punto di spegnersi; la
scintilla che tanto aveva infiammato l’Europa e l’America sembrava giunta alla
sua fine naturale, aver terminato il breve ciclo di combustione. D’altronde, il
“no future” era proprio uno dei principali inni del movimento.
I newyorkesi Television
erano capitanati da Tom Verlaine, la cui chitarra distorta, secondo la calzante
definizione di Patti Smith, aveva “un suono simile allo stridio di mille
uccelli”. Completavano la formazione Richard Lloyd alla seconda chitarra, Billy
Ficca alla batteria e Fred Smith al basso.
Il disco di esordio si
presenta talmente innovativo e convincente da costituire imprescindibile punto
di riferimento per tanti artisti che verranno dopo. Marquee moon non si
presta a facili definizioni, perché porta avanti il discorso del punk e lo
supera. Si potrebbe citare un altro lavoro coevo, ovvero The scream di Siouxsie
and the Banshees; rispetto a quest’ultimo, però, l’album di Verlaine e soci è
portatore di una forza ancora più dirompente. É l’anello di congiunzione tra il
punk e la new wave, tra due modi differenti di esprimere il malessere
esistenziale: se il primo era velocità e due accordi, i Television dimostrano
invece di saper suonare e, soprattutto, di farlo con un proprio stile.
Da rimarcare la
centralità dei testi. Il nome d’arte del leader del gruppo è un chiaro omaggio
al grande poeta francese; le sue liriche sono criptiche e visionarie, dense di immagini
distorte e riflesse, tra l’illusione e l’allucinazione. Raccontano il male di
vivere, l’incapacità di esprimersi dell’uomo contemporaneo. Un’immagine su
tutte: nel brano che dà il titolo all’album appare l’inquietante figura di
un’auto che esce da un cimitero e invita il protagonista a montare su, per
condurlo nei luoghi più remoti e oscuri del suo animo.
Otto le tracce. La
title track, di oltre dieci minuti, è un lungo viaggio nelle tentazioni
oniriche di Verlaine, un impasto stridente di chitarre che seguono due linee
melodiche diverse, con un perfetto innesto della sezione ritmica. Ipnotica e allucinante, è destinata a rimanere a lungo nella mente dell’ascoltatore.
Seguono le divagazioni crepuscolari di Friction ed Elevation, gli sprazzi di
luce di Guiding light (a dirci che non tutto è perduto), la melodia
apparentemente balneare di Prove it, nonché quello che – a mio modesto avviso –
è il capolavoro dell’intero disco: Venus. Il brano, che richiama atmosfere velvettiane,
è un incedere maestoso culminante nell’epico ritornello, dove Tom, senza
nascondersi, ammette di essere “caduto tra le braccia della Venere di Milo”,
approdo di un’esistenza votata all’indagine degli aspetti più reconditi e immaginari dell’esperienza umana. Chiude il disco Torn curtain, epica e
teatrale, che lascia intravedere altri mondi possibili oltre il velo della
tenda, al di là dello scuro sipario.
A quasi quarant’anni
dall’uscita, resta un disco fondamentale, che avrebbe meritato ben altra
fortuna. I Television spariranno di lì a poco, ma con l’orgoglio di aver
composto un lavoro originale, l’anello mancante, la traccia di collegamento tra
il punk e la new wave. Il tutto senza dimenticare il passato, che portava i
nomi di Velvet Underground, Jefferson Airplane e 13th Floor Elevators.
La leggendaria copertina del disco
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