20 luglio 2020

"Yes", i Morphine e il grande salto

I Morphine sono uno dei pochi gruppi degli ultimi trent'anni di cui si possa affermare che abbiano sperimentato qualcosa di originale. L'affermazione va tuttavia precisata. Al trio americano non si deve l'invenzione di un genere, né tantomeno la fondazione di un movimento. Più semplicemente, hanno creato un suono inconfondibile, che non si era mai sentito prima e che avrà (purtroppo) scarso seguito. Un basso a due (!) corde, batteria e sassofono era tutto ciò di cui avevano bisogno; senza elettronica e chitarre, i Morphine erano davvero un gruppo alternativo. Fossero nati oggi, sarebbero stati definiti indie, parola abusata ma perfetta nel loro caso. Come hanno scritto critici blasonati, è impossibile collocarli in un genere, sebbene vi siano reminiscenze jazz e blues. Tanto vale lasciar perdere; basti dire che i bostoniani suonavano esattamente il tipo di musica che ti aspetteresti da un trio sassofono-batteria-basso a due corde.
Yes, pubblicato nel 1995, è il loro terzo disco, dopo l'esordio di Good (1992) e l'eccellente Cure for pain (1993). Ritengo Yes il lavoro della maturità; non so dire se sia il migliore, ma di certo è un disco che focalizza al cento per cento le peculiarità del gruppo. Pur non essendo di facile assimilazione, ha potenzialità “commerciali” che invece mancano al successivo Like swimming, maggiormente sperimentale. Il gruppo è in stato di grazia, come dimostrano gli interventi di Dana Colley al sax, il drumming preciso di Billy Conway e, soprattutto, il basso e l'inconfondibile voce del compianto leader Mark Sandman.
Yes è un disco che rasenta la perfezione. Gli unici momenti poco convincenti sono quelli più sperimentali, come nelle conclusive Sharks e Free love. Il resto è pura goduria, l'apice creativo di un gruppo che seguiva senza compromessi una strada mai percorsa prima. L'analisi traccia per traccia ha poco senso, anche perché Yes va inteso come un continuum dall'inizio alla fine, un concentrato di nevrosi urbane, soffuse malinconie e fumosi ricordi di una vita che avremmo voluto vivere e che non abbiamo mai avuto il coraggio di prendere per il collo. Esemplare in tal senso l'incipit di Scratch: «I was once sittin' on the top of the world, / I really had things in my hands / but something went wrong, I'm not sure what, / and now I'm sittin' here at home alone». Il basso martellante e la voce ipnotica di Sandman reggono il filo del discorso, ma il marchio di fabbrica sono i poderosi innesti del sassofono di Dana Colley. Si ascolti in proposito la sesta traccia, All your way, per capire di cosa sto parlando. La partenza bruciante di Honey white, col suo sassofono trascinante, lascia il segno, al punto che a venticinque anni di distanza ancora ci chiediamo come mai non sia diventata una hit mondiale. Il trittico Scratch, Radar e Whisper, invece, rievoca atmosfere brumose di quieto rimpianto. All your way, lo ribadisco, è un altro dei momenti migliori dell'album, ma l'apice è probabilmente Super sex, pezzo dalla straordinaria carica erotica, non a caso utilizzato da Carlo Verdone in una celebre scena del suo Viaggi di nozze. Il ritmo è travolgente e la voce di Sandman si fa insinuante, evocando immagini di motel di terza categoria, bottiglie di whisky scolate senza ritegno e appuntamenti galanti in discoteche che trasudano sesso a buon mercato. Degna di nota la traccia conclusiva, la ballata acustica Gone for good, in cui i Morphine dimostrano di saper uscire fuori dal proprio recinto.
La maggior parte delle riviste e delle enciclopedie del settore non includono mai un disco dei Morphine tra quelli che bisogna necessariamente possedere in una collezione ideale. Il gruppo dello sfortunato Sandman sconta una certa ritrosia ad omologarsi alle leggi del mercato, o forse semplicemente l'amara sorte di chi ha portato avanti un discorso coraggioso in un'epoca, gli anni Novanta, in cui già si intravedevano i prodromi di quella profonda crisi d'identità e d'ispirazione che oggi stiamo vivendo. Per chi volesse conoscere i Morphine, Yes è il giusto punto di partenza, perché sa coniugare un sound rifinito e innovativo con una capacità di assimilazione che dovrebbe conquistare anche l'orecchio meno educato.

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