27 aprile 2021

"La canzone di Carla": l'amore sulle barricate

Ken Loach può piacere o meno, ma nessuno può accusarlo di mancanza di coraggio. Quando ritiene che una causa sia giusta, si butta a testa bassa nella mischia, senza protezioni e manierismi, a costo di alzare un polverone e di beccarsi aspre critiche. E non gli importa se i detrattori mettono in dubbio la valenza artistica delle sue opere: Loach è l'alfiere del cinema militante, intimamente convinto che le pellicole debbano farci riflettere prima ancora che intrattenere. In alcuni casi l'ideologia risulta prevalente, se non addirittura sovrabbondante (The Navigators), in altri si nota un perfetto equilibrio tra il messaggio e la narrazione (Io, Daniel Blake). La canzone di Carla (1996), sceneggiato dal fido Paul Laverty, è un film che si colloca a metà strada tra la cruda denuncia, l'impegno civile e la tenera narrazione di un'insolita storia d'amore
Anno 1987: George Lennox, interpretato da Robert Carlyle, guida l'autobus n. 72 che attraversa Glasgow dal centro alla grigia periferia. Ha circa trentacinque anni ed è in procinto di sposarsi con Maureen, nonostante non sia convinto del grande passo. È un guascone intraprendente e sottilmente anarchico, odia profondamente le ingiustizie e le disuguaglianze sociali, più per istinto che per convinzioni politiche. Così, quando un inflessibile controllore maltratta una ragazza straniera senza biglietto, George non si tira indietro, ferma l'autobus e interviene in sua difesa, facendola fuggire e beccandosi una settimana di sospensione dal servizio. Carla, questo il nome della ragazza, è una militante sandinista del Nicaragua, costretta a fuggire dal proprio paese dopo che i Contras, le temibili forze controrivoluzionarie, avevano attaccato il gruppo di cui faceva parte, arrestando il compagno Antonio. In breve tra George e Carla nasce una storia d'amore, ostacolata dai mostri del passato che tormentano la ragazza: Carla sa che il suo destino non può compiersi a Glasgow e così decide di tornare in Nicaragua, al servizio della rivoluzione e alla ricerca dell'amato Antonio. A seguirla è George, che accetta di mettere a repentaglio la propria vita pur di sostenere la donna che ama, sebbene sia consapevole che Carla non gli apparterrà mai. 
La pellicola può essere divisa in due parti ben distinte. La prima si svolge interamente a Glasgow ed è la più riuscita. Qui Loach veste i panni dell'indagatore dell'animo umano e costruisce una storia d'amore di rara potenza, regalando inquadrature di grande espressività e lirismo. Il secondo tempo ha inizio con l'arrivo a Managua ed è una fedele narrazione della guerra civile che ha insanguinato il Nicaragua fino al 1990. Il clima cambia repentinamente, la violenza prende il sopravvento e la spensieratezza della prima parte cede il passo alla strisciante tensione della guerriglia. Loach mette in scena il contrasto tra il popolo e i controrivoluzionari, in una visione quasi manichea che contrappone la dignità e bontà d'animo del primo alla spietatezza dei secondi. Dicevo all'inizio dell'articolo che il regista inglese non manca di coraggio e non teme di farsi nemici potenti. La sua onestà intellettuale brilla particolarmente in questo film, in cui viene denunciato il ruolo che la C.I.A. ebbe nelle oscure vicende del Nicaragua. Gli americani, per ovvie ragioni, sostenevano, addestravano e armavano i Contras, i sanguinari gruppi armati controrivoluzionari che si opponevano al governo sandinista macchiandosi di orrendi crimini. Nulla viene taciuto o edulcorato; anzi, la telecamera di Loach indugia sulla spietata verità. I Contras, appoggiati dagli americani, attaccavano le fattorie e i villaggi rurali di notte, colpendo le scuole, gli ospedali, i circoli socialisti e tutti i centri di aggregazione in cui si andava formando la nuova e libera società nicaraguense. 
Il film nella seconda parte assume una narrazione quasi didascalica, da documentario. A un certo punto lo spettatore è disorientato; la storia smarrisce la sostanza poetica che permeava la prima parte e diventa il veicolo di un'ideologia. La vicenda di Carla e George, che dovrebbe essere il filo conduttore, passa in secondo piano, si ha l'impressione che sia soltanto il pretesto per lanciare un j'accuse contro la C.I.A. e l'amministrazione Reagan. A distanza di venticinque anni dalla sua uscita, è questo il limite più evidente della pellicola. Il giudizio complessivo, però, è tutt'altro che negativo. Loach si muove con abilità in un terreno scivoloso dove albergano la passione amorosa e la lotta politica, apparentemente inconciliabili. Ne esce fuori un film d'amore esemplare e credibile, sublimato dalla sofferta e umanissima scelta di George, che accettando la perdita della donna amata dimostra la purezza del suo sentimento
Al di là dei limiti evidenziati, consiglio la visione della pellicola. Anzi, dirò di più, La canzone di Carla è l'opera che suggerirei a chi volesse iniziare a prendere confidenza con il cineasta di Nuneaton. In questo film sono infatti racchiusi i (tanti) pregi e i (veniali) difetti di Ken Loach: la capacità di conferire sostanza poetica a storie di periferia, la lotta contro razzismo e pregiudizi, l'incrollabile e a volte ingenua fiducia nel sol dell'avvenire.

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