Una lettura che fa riflettere e disturba, poco più di cento pagine
di meditazioni scandite da immagini apocalittiche e da parole taglienti. Era un
filosofo estremo Albert Caraco, delirante provocatore e al contempo lucido cantore
delle ossessioni e delle perversioni di un Occidente decaduto, la cui fine
viene drammaticamente evocata in questo Breviario del caos.
Lo strano pensatore non ebbe mai fortuna in vita; le sue opere
hanno iniziato a circolare solo dopo il suicidio (1971), programmato da lustri
ma compiuto solo dopo la morte del padre, unico essere umano a cui mai avrebbe
voluto dare un dispiacere.
Ed è proprio la morte che aleggia sinistra nelle pagine di questo libro; ma non è una morte intesa cristianamente come la fine di un percorso naturale, che si conclude nella speranza dell’aspirazione celeste. La morte descritta da Caraco è la peste del 1348, perché non è salvifica e non dà speranza; è come un enorme pozzo nero in cui è l’intera società ad essere inghiottita. Nonostante molte pagine siano letteralmente sconvolgenti, in altre l’autore riesce con grande lucidità ad individuare i nemici dell’umanità, che sono il pensiero unico, la logica capitalista e l’ordine costituito. In proposito, scrive che “la massa dei mortali è fatta di sonnambuli, e all’ordine non conviene mai che escano dal sonno, perché diventerebbero ingovernabili”. E per realizzare questo obiettivo, il potere si serve delle attrattive dello spettacolo, della televisione, delle luci della ribalta, che con la loro insulsaggine “ottundono la nostra sensibilità e finiranno con il guastarci il cervello”. Nulla si salva, nemmeno i valori, che anzi sono i principali artefici della decadenza generale: l’ideale di patria, le religioni e la politica sono bersagli dei più feroci attacchi. Il Breviario del caos, con i suoi incisivi aforismi, diventa il canto funebre della civiltà occidentale, avvolta da un sudario composto dalle sue contraddizioni, dalle ingiustizie e dai falsi idoli. L’aberrazione più grande prodotta da questa società è l’aver mutato la natura dell’uomo, trasformato in “fedele”, “consumatore”, “cittadino”, “elettore”, per servire gli interessi dei gruppi di potere. Ecco perché, conclude l’autore, non potremo mai cambiare questa umanità se non distruggendola, per poi ricomporla ex novo.
È stato detto di tutto di Caraco: lo si è definito, forse non a torto, provocatore, folle, miserabile, anarchico, catastrofista, nichilista fino all’estremo. Sarebbe tuttavia stupido non riconoscergli un grande merito: quello di aver scritto, a costo di essere bollato come un reietto dell’umanità, ciò che gli altri si rifiuterebbero sempre di scrivere per paura del severo giudizio dei consociati. E allora è probabile che nel leggere questo libello si possa essere portati a scuotere la testa, a disapprovare gran parte di quello che vi è scritto. Sfido però chiunque si definisca uomo libero a non condividere almeno qualcuna delle amare riflessioni del pensatore francese.
Ed è proprio la morte che aleggia sinistra nelle pagine di questo libro; ma non è una morte intesa cristianamente come la fine di un percorso naturale, che si conclude nella speranza dell’aspirazione celeste. La morte descritta da Caraco è la peste del 1348, perché non è salvifica e non dà speranza; è come un enorme pozzo nero in cui è l’intera società ad essere inghiottita. Nonostante molte pagine siano letteralmente sconvolgenti, in altre l’autore riesce con grande lucidità ad individuare i nemici dell’umanità, che sono il pensiero unico, la logica capitalista e l’ordine costituito. In proposito, scrive che “la massa dei mortali è fatta di sonnambuli, e all’ordine non conviene mai che escano dal sonno, perché diventerebbero ingovernabili”. E per realizzare questo obiettivo, il potere si serve delle attrattive dello spettacolo, della televisione, delle luci della ribalta, che con la loro insulsaggine “ottundono la nostra sensibilità e finiranno con il guastarci il cervello”. Nulla si salva, nemmeno i valori, che anzi sono i principali artefici della decadenza generale: l’ideale di patria, le religioni e la politica sono bersagli dei più feroci attacchi. Il Breviario del caos, con i suoi incisivi aforismi, diventa il canto funebre della civiltà occidentale, avvolta da un sudario composto dalle sue contraddizioni, dalle ingiustizie e dai falsi idoli. L’aberrazione più grande prodotta da questa società è l’aver mutato la natura dell’uomo, trasformato in “fedele”, “consumatore”, “cittadino”, “elettore”, per servire gli interessi dei gruppi di potere. Ecco perché, conclude l’autore, non potremo mai cambiare questa umanità se non distruggendola, per poi ricomporla ex novo.
È stato detto di tutto di Caraco: lo si è definito, forse non a torto, provocatore, folle, miserabile, anarchico, catastrofista, nichilista fino all’estremo. Sarebbe tuttavia stupido non riconoscergli un grande merito: quello di aver scritto, a costo di essere bollato come un reietto dell’umanità, ciò che gli altri si rifiuterebbero sempre di scrivere per paura del severo giudizio dei consociati. E allora è probabile che nel leggere questo libello si possa essere portati a scuotere la testa, a disapprovare gran parte di quello che vi è scritto. Sfido però chiunque si definisca uomo libero a non condividere almeno qualcuna delle amare riflessioni del pensatore francese.
[ Questa mia recensione è apparsa anche su Sololibri.net ]
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