«Siamo
reazionari? Legittimisti? Vecchi? Decrepiti? No: soltanto amici della verità». Sono queste le parole che Carlo
Alianello ha usato per descrivere la sua opera più controversa. Dopo essersi
dedicato al grande romanzo storico – si ricordino L’alfiere
e L’eredità
della Priora – lo scrittore lucano si cimentò con la prova più
difficile: scrivere un saggio, una controstoria del Risorgimento nell’Italia
meridionale. Come viene raccontato dai suoi biografi, egli era uomo mite e intelligente, propenso alla polemica garbata e mai triviale. Eppure, queste
pagine trasudano sdegno, forse per l’orrore di essere divulgatore di vicende
che la storia ufficiale ha a lungo tenute nascoste.
Il saggio
inizia con lo smascheramento della famosa lettera del 1851 di Lord Gladstone,
quella che dipingeva le Due Sicilie come la negazione di Dio, astutamente
divulgata in tutte le corti europee per creare odio, raccapriccio, imbarazzo. È
questo il punto di partenza per riscrivere la storia risorgimentale; il
politico inglese, che molto orrore destò con quelle righe, non aveva visitato
alcun carcere del Regno, né aveva mai visto coi propri occhi ciò che scriveva
con tanta supposta cognizione di causa. È la tecnica del mendacio, della
“macchina del fango”, a voler usare un’espressione tanto in voga oggi.
La vera
negazione di Dio, spiega Alianello, era nelle periferie industriali inglesi,
negli slums di Londra, nella miserrima Irlanda in perenne carestia. I contadini
del Sud, se non erano né ricchi né benestanti, vivevano in un “discreto
bisogno”, uguale a quello di tutte le masse popolari dell’epoca.
Se si scava
a fondo, si scopre il reale motivo di un’invasione lungamente premeditata: le
mire inglesi sul Mediterraneo e sullo zolfo di Sicilia, il timore di un
rafforzamento eccessivo dello Stato del Sud, il sospetto verso un Paese
pacifico e chiuso in se stesso, che non aveva ambizioni coloniali e preferiva
non immischiarsi nelle guerre che ciclicamente sconvolgevano lo scacchiere
europeo.
Alianello
inizia allora a raccontare la sua versione dei fatti, corredata da autorevoli
fonti, continuamente citate. Spulcia le carte dei Tribunali, riporta stralci di
sentenze, ci fa sapere che Re Ferdinando, passato alla storia come “Re Bomba”,
commutò nella pena detentiva o nell’ergastolo tutte le condanne emesse contro i
liberali ed i rivoluzionari, quando non concesse motu proprio la grazia.
Se invece
nel Sud vi furono gravissime ingiustizie, queste avvennero sotto il “Re
galantuomo” Vittorio Emanuele, che consentì stragi, torture, carcerazioni
preventive senza termini finali, continui abusi dei diritti fondamentali,
fucilazioni sommarie e processi fuori da ogni logica giuridica. E queste
violazioni non erano sconosciute all’epoca, tanto che se ne parlò lungamente
non solo tra gli spiriti più eletti del Parlamento di Torino, ma anche nelle
assemblee legislative di Francia, Spagna e persino Inghilterra.
Lo scrittore
lucano rovescia il giudizio consolidato, scrive un’opera calda e accorata, che
rende onore ai vinti di Gaeta e accusa i conquistatori, loro sì negatori di
Dio. Più che di scrittore, egli fa opera di avvocato, per convincere il Tribunale
della Storia a cassare la mendace sentenza che ha trasformato le vittime in
colpevoli, i patrioti in briganti.
[ Questa mia recensione è apparsa anche su Sololibri.net ]
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