Il fatto di consentire l’immediata e
capillare diffusione di pensieri, opinioni e conoscenze è certamente uno dei
maggiori pregi della rete internet. Superato il naturale ostacolo delle
distanze, e quello artificiale delle frontiere, le idee sono libere di
circolare come mai era accaduto in passato, quando spesso erano confinate in
circoli elitari, diffuse solamente in circuiti chiusi e difficilmente
comunicanti. È però altrettanto evidente, e di questo vorrei parlare, che tale
strumento abbia al contempo consentito a milioni di idioti di dare liberamente
sfogo agli istinti più primitivi, ben celati dietro un nome di fantasia. Per
capire di cosa parlo, è sufficiente aprire un qualsiasi giornale on-line,
oppure un video su YouTube, e leggere i commenti dei lettori, specie per quanto
concerne gli argomenti di più stretta attualità. Si potrà allora assistere
disgustati ad un florilegio di offese di ogni sorta, spesso gravissime, di
triviali litigi, di turpiloqui che farebbero impallidire i poveri scaricatori
di porto del famoso proverbio. Ogni occasione, dal fatto di cronaca a quello di
politica, dal filmato comico all’evento sportivo, diviene propizia circostanza
per vomitare sulla tastiera il peggio che l’ignoranza umana possa partorire. Il
tutto, con la sicurezza (anzi, grazie alla sicurezza) offerta dall’anonimato. A
volte, poi, questi vandali della rete inscenano infimi e pietosi
sceneggiati, lunghissimi litigi a suon
di commenti, che, inevitabilmente, chiamano in causa, con i peggiori epiteti
possibili, mogli, sorelle, madri e nonne. C’è gente che minaccia gli altri di
morte per delle semplici divergenze sui gusti musicali, altri che sputerebbero
sulla tomba di chi ha osato difendere gli immigrati. Ed ecco allora che nasce
tutto un campionario di insulti, prima sconosciuti: “buonista” (inteso in senso
negativo, specie come difensore dello straniero), “bimbominkia” (giovane ebete
allineato al sistema), “sinistro” , “berluschino” e così via. E se leggere
questi commenti può far ridere, certamente deve anche indurci a riflettere
sulla pietosa condizione di chi sfoga le frustrazioni di una vita miserabile
sulla tastiera. Lasciare la propria traccia sulla rete, specialmente per chi
farebbe bene a legarsi le mani (a causa anche della scarsa conoscenza della
lingua), diventa così una gigantesca proiezione dell’io, tra l’eroico e
l’erotico, che fa credere di contare qualcosa persino a chi, altrimenti,
sarebbe destinato al mutismo ed all’oblio.
Questo
accade specialmente, è bene rilevarlo, per i siti più visitati, quali quelli di
informazione generale, ove l’accesso è indiscriminato, per cui si vengono a
confrontare persone di ogni età, cultura, condizione sociale, opinioni. Ed ecco
che mentre nella realtà la discussione, anche tra persone molto diverse, viene
di solito intavolata lungo binari di civile confronto, sulla rete tutto si
rovescia, fino a trasformarsi nel vomitatoio delle peggiori nefandezze. Se poi volessimo fare un’analisi
sociologica di questi tipici frequentatori della rete, potremmo, senza
difficoltà, raggrupparli in tre categorie: il fanatico, l’indignato e il
giustiziere. Il fanatico è all’agguato ovunque
sia possibile parteggiare per qualcuno o qualcosa: nello sport, nella musica,
nel cinema. Difende i propri idoli e chiede per loro rispetto, ma non esita ad
infangare quelli degli altri. C’è chi, in questo settore, raggiunge stati
patologici: si pensi all’amante della musica “seria”, che si sorbisce i video delle
popstar di tendenza solo per insultarle. L’indignato, invece, è un
appassionato di politica. Usa i polpastrelli per sollevare le masse, è
l’alfiere del “tanto sono tutti uguali”, ma poi, nel segreto dell’urna, non
riesce a tradire i vecchi partiti, quelli che, bene o male, gli hanno dato da
mangiare. L’indignato, che non sa usare l’arma legittima, cioè il voto,
dimostra invece di saper maneggiare, almeno a parola, le armi più cruente. Quella del giustiziere è, a mio
avviso, la categoria più pericolosa, su cui è opportuno spendere più parole. Il
giustiziere vive nei meandri delle pagine di cronaca nera, aleggia come un
avvoltoio sui cadaveri, predilige sguazzare nel sangue e nel pettegolezzo. È al
contempo esperto, senza aver mai aperto un libro, di psicologia, criminologia e
diritto spicciolo, quello primitivo della pietra e del bastone, per intenderci.
Riesce ad essere, allo stesso tempo, pubblico ministero, poliziotto e (più
raramente) avvocato, tanto da poter giudicare, senza conoscere le carte, il
lavoro di tutti questi professionisti. Ma soprattutto, egli è giudice. Le sue
nozioni giuridiche sono ancora più ancestrali di quelle di Rotari. Il re
legislatore dei Longobardi, nel suo celebre Editto, rispettava il principio di
proporzionalità, quello per cui la pena deve essere il più possibile rapportata
al male commesso, al punto che la pena capitale non può che costituire l’extrema
ratio. I giustizieri della rete, invece, amano la forca, la accarezzano come si
farebbe con un cagnolino, la invocano ad ogni occasione, al punto che sarebbero
pronti essi stessi a stringere il cappio intorno alla gola del “mostro” di
turno, sbattuto sulla prime pagine di tutti i giornali. E sorge quindi il
legittimo dubbio che, condannando il male degli altri, vogliano in realtà
esorcizzare il proprio, riconquistando una verginità perduta. Come
liberarsi di questo fenomeno? Non nego che anche a me è capitato, in passato,
di cadere nel gioco dell’offesa gratuita su internet. Poi, oltre alla stupidità
del gesto, mi ha convinto a desistere la considerazione che tutte le parole
scritte sulla rete scompaiono quasi subito, fino ad essere sommerse dal mare
magnum di internet, che è in continua evoluzione e mai si ferma. Cosa rimane di
tutti i fiumi di ingiurie, delle tonnellate di indignazione? Solo schizzi di
sterco, come quando il benefico sciacquone lava via ogni cosa.
L'anonimato offerto dalla rete incentiva condotte offensive
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