Esiste una particolare categoria di
scrittori, quella degli “autori di una sola opera”, che conta molti nomi
eccellenti e altri più o meno conosciuti. Di questa nutrita schiera fanno
parte personaggi che devono la celebrità ad un solo romanzo, pur avendo composto
altre opere (come Tomasi di Lampedusa o Radiguet), e altri che, in effetti,
sono autori di un unico lavoro. Alain-Fournier (1886-1914) è uno di questi
ultimi; è suo Il grande amico Meaulnes – noto anche con le traduzioni Il gran
Meaulnes o semplicemente Il grande amico – che gli ha dato grandissima fama
postuma e unanime approvazione di pubblico e critica. Il giornale transalpino
Le Monde lo ha inserito al nono posto della sua prestigiosa classifica dei
cento libri del XX secolo. Innumerevoli le traduzioni e le edizioni (anche
italiane), tantissimi gli intellettuali che ne sono rimasti affascinati, come
Salinger e Kerouac. Tra gli italiani, il partigiano Guglielmo Petroni, nel suo
celebre romanzo-saggio La vita è una prigione, ricorda con affetto Il grande
Meaulnes, per il sollievo che la lettura del libro gli diede nei durissimi
giorni della prigionia a Regina Coeli, durante l’occupazione tedesca di Roma.
Il libro è la più vivida e sentita
testimonianza di una stagione irripetibile, l’infanzia. Anzi, l’opera ha la
capacità di fissare sulla carta il passaggio dall’adolescenza alla maturità, scrutando
il momento in cui un incancellabile solco separa le due età.
Il giovane Francesco Seurel,
protagonista ed io narrante della vicenda, vede la sua semplice e monotona
esistenza sconvolta, in senso positivo, dall’arrivo di un nuovo compagno di
scuola, l’immaginoso Agostino Meaulnes, subito ribattezzato “il gran Meaulnes”,
per una straordinaria forza dirompente che promana dalla sua persona, che lo
rende diverso da tutti gli altri ragazzini. E proprio durante uno dei suoi
vagabondaggi, Meaulnes sarà protagonista di una strana avventura, a metà tra il
sogno e la realtà, che cambierà profondamente l’esistenza di molti e la stessa
percezione del senso della vita. Non posso aggiungere altro, per non svelare
troppo la trama.
Meaulnes non è propriamente un Peter
pan, perché non c’è in lui la cieca ostinazione di non voler crescere; egli,
piuttosto, vive fino in fondo quell’età acerba che è l’adolescenza, fino a
trasformarla da passaggio obbligato in punto di arrivo irripetibile, hortus
conclusus sempre vagheggiato con infinita nostalgia.
Non si può non fare una notazione
sullo stile, straordinariamente evocativo. Alain-Fournier è un grande
narratore, che dà il meglio di sé nelle vivide descrizioni campestri e nello
scrutare nel fondo dell’animo dei suoi personaggi. Ma soprattutto, è un maestro
nella costruzione delle atmosfere soffuse della vita contadina; leggendo le
dense pagine, sembra davvero di immergersi nei campi coperti da un sottile
strato di bruma, nelle case coi tetti di ardesia, passando per le stanze
rischiarate da un fuoco di arbusti e le strade bagnate e luccicanti di pioggia.
Sembra difficile pensare che la
persona che ha scritto questo delicatissimo libro sia stata la stessa che, pur
potendo per censo e cultura sottrarsi agli orrori della trincea, magari
impegnando un posto in retrovia, ha invece chiesto di essere mandata in prima
linea. Forse un estremo atto di incoscienza giovanile, o piuttosto il desiderio
di morire assieme agli ultimi, quei contadini costretti a diventare fanti, che
egli aveva descritto nella sua unica opera. Resta aperta una domanda, e non
potrebbe essere altrimenti. Cosa avrebbe potuto ancora regalarci Alain-Fournier
se, come molti altri intellettuali e artisti, non fosse caduto in trincea?
Impossibile dirlo, ma di certo sarebbe stato difficile superarsi, perché in
quest’opera aveva già e consapevolmente deciso di trasfondere tutto se stesso,
tutta la sua sensibilità e la sua esperienza di vita, breve ma intensa.
Copertina edizione Garzanti 1965
Mi interessa, lo leggerò!
RispondiEliminaGrazie per aver letto il mio blog e per aver commentato. Fa sempre piacere sapere che un proprio invito alla lettura è stato accolto. Un saluto.
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