Goethe e gli altri viaggiatori del Grand Tour raggiunsero il Cilento
specialmente per ammirare le rovine di Paestum. La maggior parte preferì
seguire la linea della costa; pochi, invece, ebbero l’ardire di inoltrarsi
nell’entroterra, in un mondo ancora lontano dalle comodità e dalle corruzioni
della modernità, in una terra descritta come selvaggia e inospitale, quasi
primitiva. Tra questi ultimi vi erano storici, geologi e geografi che, per diletto,
studio o lavoro, attraversarono le contrade interne. Il nobile Francesco
Antonio Ventimiglia, vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, autore di
un’opera intitolata Il Cilento
illustrato, visitò Melito, definendolo “picciol
paesetto ma vago”. Interessante è l’aggettivo utilizzato per descrivere il
casale. “Vago” è una parola che oggi usiamo per indicare qualcosa di
indefinito, di confuso, spesso con un’accezione negativa. Nella lingua
letteraria, invece, l’aggettivo può essere impiegato per connotare un luogo,
fisico o dell’animo, che presenta una vaga sfumatura di incanto, di soffusa
bellezza, quasi onirica. Si pensi al celebre “vago avvenir che in mente avevi” di Giacomo Leopardi.
Melito è una delle frazioni storiche
del comune di Prignano Cilento. A differenza di San Giuliano, che è stato di
fatto inglobato dal capoluogo, e di Poglisi, che è scomparso, Melito ha
mantenuto la propria fisionomia, con gli stretti vicoli, gli archi, una
cappella, una torre medioevale e qualche casa antica che, per censo dei suoi
proprietari, veniva e viene tuttora chiamata “palazzo”. Si può dire che ancora
oggi il villaggio sia connotato di una propria individualità, nonostante una
serie di interventi edilizi non sempre felici, che ne hanno mutato in parte l’aspetto,
senza stravolgerlo.
Sull’origine di Melito e del suo
nome non si hanno fonti certe, per cui è possibile solo fare delle congetture.
Secondo la tesi prevalente, venne fondato dagli abitanti delle località
marittime che, per sfuggire alle incursioni dei Saraceni che devastavano le
zone costiere, si rifugiarono nell’entroterra cilentano. Per tali ragioni, l’origine
dell’insediamento potrebbe essere collocata addirittura tra i secoli IX e X
d.C., considerando che Agropoli fu occupata dai Saraceni nel periodo che va
dall’anno 882 al 915 d.C. Non si può però escludere che il Casalis Maleti (come veniva anticamente chiamato) sia ciò che
rimane di un risalente insediamento monastico. Sappiamo, infatti, che molti
agglomerati urbani del Cilento sono sorti intorno a conventi o monasteri, di
cui spesso non è rimasta traccia. La stessa parola “casale”, che indica
solitamente un insediamento rurale, si riferisce ai piccoli stanziamenti umani
circondati da terre di proprietà degli enti ecclesiastici, che li concedevano
ai contadini affinché potessero trarne mezzi per la loro sussistenza. Questa genesi
rurale spiegherebbe anche il nome “Melito”, forse dalla presenza di estesi
meleti.
Fare una breve ricognizione della
storia del villaggio significa sostanzialmente riportare una lunga sequela di
passaggi feudali, dal XII secolo fino all’eversione del regime feudale negli
anni 1806-1808. Il grande storico Pietro Ebner ritiene che il villaggio abbia
costituito una universitas autonoma
sino alla sua aggregazione a Prignano. Per questa ragione, almeno a partire dal
XV secolo, la sua storia appare strettamente intrecciata a quella del
capoluogo. Prospero Lanara, Giovanni Alfonso Samudio, Bernardino Rota, Giovanni
Ayerbo sono alcuni degli evocativi nomi dei feudatari o di coloro che, in
qualche modo, ebbero una certa giurisdizione sul villaggio; fino a giungere,
nel 1701, alla cessione del casale (e del capoluogo Prignano) ai marchesi
Cardone, ultimi titolari del feudo.
Venendo all’itinerario proposto, si
può partire da un largo spiazzo che si trova ad una delle estremità del paese:
la cosiddetta “piazza della Croce”.
Il nome non è riportato sugli stradari, ma le è stato attribuito dagli abitanti,
per via di una colonna in pietra di poco più di due metri, sormontata da una
croce di ferro. Il manufatto è stato eretto nel 1712, a ricordo di una missione
dei Padri Carmelitani. A seguito di un incidente, la colonna venne abbattuta,
per poi essere riposizionata, sia pure ridotta in altezza. Al lato della croce
ha inizio il Vico degli aranci, suggestiva stradina che costituisce il nucleo
più antico del villaggio. Superati due palazzetti con caratteristici portali
decorati in pietra locale, si arriva alla Torre Volpe, certamente l’edificio di
maggiore interesse. Si tratta di una struttura difensiva in pietra, poi
trasformata in civile abitazione, eretta probabilmente nel corso del secolo XI.
Oggetto di un recente e attento restauro, ha struttura quadrangolare e merlata,
e conserva sul lato destro rispetto alla facciata le pietre che fungevano da
cardini per il ponte levatoio. È alta circa quindici metri e presenta i segni
delle antiche feritoie e dei vari rimaneggiamenti succedutisi nei secoli. Sulla
facciata è possibile ammirare lo stemma in pietra della famiglia Volpe, che ha
dato il nome all’edificio. Fa parte dell’A.D.S.I., associazione che riunisce le
dimore storiche italiane. Alla torre è legata un’antica leggenda; si narra che
durante i terribili assedi saraceni, venisse installata sulla facciata una
particolare macchina da guerra, una specie di grande ruota di mulino con catene
di ferro alle cui estremità si trovavano sfere di pietra che, per effetto della
rotazione del marchingegno, venivano scagliate contro gli assedianti.
Uscendo dal Vico degli aranci e
svoltando a sinistra, ci si incammina lungo Via S. Caterina, fino ad arrivare,
dopo poco più di cento metri, all’omonima cappella, cuore religioso del casale.
La chiesa si trova in cima ad una breve scalinata; sulla facciata è un mosaico
a piastrelle che raffigura la Santa. Il
primo documento ufficiale che attesta l’esistenza della chiesa in Melito è del
1516, anno in cui il Vescovo di Capaccio Vincenzo Galeota conferì al sacerdote Nicolae di Vitiis l’incarico di
amministratore perpetuo della cappella “positam
intus casale Mileti”. Gli storici, tuttavia, ritengono che l’edificazione
risalga ad un’epoca anteriore. In particolare, è probabile che il nucleo
originario dell’edificio sia coevo alla fondazione del villaggio, per
comprensibili esigenze di culto della popolazione. Sappiamo, inoltre, che
anticamente la chiesetta era assai venerata, in quanto il vicario De Pace parla
di “magno concurso toti Cilenti” (grande
affluenza da tutto il Cilento). Più volte ristrutturata e rimaneggiata negli
anni successivi, la Chiesa mantiene della sua forma originaria esclusivamente
la struttura. All'interno, a navata unica separata dal presbiterio da un arco a
tutto sesto, è un pregevole altare in pietra e calcina, datato 1835. La statua
lignea della Santa, raffigurata con la ruota del martirio, è stata acquistata
nel 1869. La cappella di Melito ha a lungo conservato una pregevole tela del
XVII secolo, raffigurante il Mistico
sposalizio di Santa Caterina con Gesù. Per ragioni di sicurezza, e per
preservarlo dall’umidità, il dipinto è stato trasferito presso la Chiesa madre
di Prignano, dove lo si può ammirare in fondo alla navata sinistra.
L’itinerario melitese si conclude
con una breve sortita alla cosiddetta Fontana Vecchia. Sulla sinistra rispetto
alla facciata della cappella c’è un’altra scalinata, che conduce ad un
caratteristico arco e, superato questo, ad una curiosa fonte che ha la forma di
una casetta, anche questa oggetto di recente restauro. Non si hanno notizie
certe sulla sua data di edificazione, ma di certo è assai antica, almeno quanto
il villaggio. Oltre la porticina d’ingresso, si scorge un unico ambiente, che
costituisce la vasca dell’acqua.
Che cosa resta al viaggiatore di
questo insolito itinerario? Certamente non avrà ammirato grandi monumenti, né
supreme vestigia del passato. Tuttavia, avrà avuto modo di assaporare il
silenzio, gli odori, gli scorci e quel suggestivo e malinconico senso di
abbandono che costituiscono un tratto peculiare di ogni tipico villaggio rurale
dell’entroterra cilentano.
La Piazza della Croce e la Torre Volpe (foto di Alfonso Cernelli)
Per ulteriori informazioni, vi invito a consultare la pagina Wikipedia, che ho curato personalmente.
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