L’intensità drammatica
di Vienna, parlo della canzone che dà il titolo all’album, sta tutta nella
versione live registrata a St. Albans nell’agosto del 1980, per fortuna
disponibile su YouTube. Il gruppo è in stato di grazia e sfodera una
prestazione emozionante, arricchita dalla presenza scenica di Midge Ure, il quale,
praticamente immobile per tutta la durata del brano, alla fine alza il pugno al
cielo, in un gesto liberatorio e suggestivo.
Mi è sempre stato
simpatico Midge: sarà per i baffetti alla Fred Buscaglione, per la cravatta
slacciata o per le scarpe bianche anni Cinquanta. In lui, l’immagine fa più
delle pur indubbie qualità artistiche.
È proprio con l’arrivo del nuovo
cantante che gli Ultravox voltano pagina, tirando fuori un disco a tratti
discontinuo, ma che molti considerato il loro migliore. L’album è
caratterizzato da testi dalle atmosfere rarefatte e suoni algidi, che costruiscono
un importante tassello del pop elettronico degli Anni Ottanta. A distanza di
oltre trent’anni può apparire datato per alcuni aspetti; però, è indubbia la
perfetta sincronia tra i componenti del gruppo. Midge Ure (voce, chitarre e
sintetizzatori), Warren Cann (batteria elettronica), Billy Currie e Chris Cross
(sintetizzatori), definiscono e approfondiscono il suono Ultravox, aggiustano
il tiro volgendo lo sguardo all’Europa del Nord e specialmente ai Kraftwerk. Ma
soprattutto, è la nuova calda voce di Midge a contraddistinguere prepotentemente
il lavoro.
Nove le tracce, di cui
due strumentali. Il lato A è certamente il migliore, perché contiene alcuni
pezzi serratissimi, come New Europeans, forse il più convincente dell’album per
l’eccellente amalgama tra il suono prepotente delle chitarre elettriche e
quello cupo dei sintetizzatori. Altre canzoni degne di nota sono Private Lives
e Passing strangers, caratterizzate da un perfetto connubio tra elettronica e
sezione ritmica. Chiude la prima facciata Sleepwalk, brano dalle venature
disco.
Il secondo lato si
apre con un lungo e poco convincente strumentale, Mr. X, dagli spunti buoni ma
eccessivamente frammentati. Segue Western promise; qui il canto si fa recitato
e si veleggia su atmosfere orientali sospese tra il reale e l’onirico. Infine,
la title-track Vienna, bellissima e glaciale, dove la voce di Midge Ure
raggiunge il massimo dell’intensità e del patetismo teatrale.
Al di là delle
definizioni che se ne possono dare (synth-pop, new romantic, new wave) e,
soprattutto, al di là delle mode che vanno e vengono, resta un dato: gli
Ultravox con l’elettronica ci sapevano fare. E bene.
La band sul retro del disco
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