Lo scrittore e neuropsichiatra Giuseppe Baiocco ha scritto una
interessante recensione del mio romanzo Le rovine in attesa, cogliendone con
grande maestria spunti e suggestioni. Lo ringrazio per il graditissimo omaggio.
La
recensione
Nel romanzo
"Le rovine in attesa" di Alfonso Cernelli, il palazzo turrito di don
Alberico ci appare come il santuario dell’umana esistenza, svettante verso la
sommità del cielo dove ci si aspetterebbe di vedere Mosè ricevere le tavole
della legge. Di legge, in realtà, nella torre avita si parla e molto ma nel
senso di Costituzione morale da consegnare all’aristocrazia del mondo per
liberare l’uomo da ogni "strumento di repressione". Un uomo non
utopico – ben inteso – ma storicamente agente nelle lotte di popolo contro il tiranno.
Si può giustificare il travolgimento violento di una civiltà, sia pure in
rovina, per promuovere un'utopica Costituzione moralmente alta al fine di
rendere buona e giusta l'umanità così generata? É da qui che prende corpo la
stupenda narrazione del romanzo, anche se lo spleen narrativo si lascia
pervadere sin da subito dall'attesa cotardiana del crollo cosmico (una sorta di
Aspettando Godot alla rovescia): l’umana ragione dei protagonisti – disastrata
dalle storie che la sconvolgono – vive con la disposizione d’animo di chi va in
rovina, rassegnato alla fine ineluttabile. Affabulante nella sua desolazione ci
appare questo santuario pensile sospeso nel cielo, per raggiungere il quale c’è
solo un'angusta via metafisica, il corso: "espressione tanto fuori
luogo" da essere essa stessa un non-luogo di quel mondo.
Eccoci
dunque, alle relazioni tra i personaggi del romanzo tutte pregne di una
crepuscolarità umorale depressa che oscura l'eros del sentimento pur di
allontanare la rovina che incombe. E a nulla servirà fuggire lontano in cerca
di fortuna, come fa Erminio: la sua non è una ribellione titanica contro il
dio-tiranno della storia (i piemontesi) ma un acquattarsi in attesa per
ritrovare in essa un cantuccio in cui vivacchiare. Come appaiono lontani i
vagheggiamenti su Errico Malatesta al Caffè degli Oracoli e sugli ideali
rissosi degli spiriti ribelli!
Quello di
don Alberico è un palazzo dell'immaginario, è una galassia dove si approda
dalle vie più disparate e da cui non c'è più ritorno perché è frontiera di troppi
mondi fantasmatici insieme, quello della ragione in fuga, delle emozioni
coercite, delle passioni ritualizzate, dei sentimenti-ossessione. Il marchese e
i suoi "cortigiani" si muovono sullo scenario del romanzo come
controfigure dell'inconscio, un inconscio più simile ai gironi danteschi che
alle istanze freudiane.
Chi vive
nella torre è un “eletto” o meglio un predestinato e forse per questo tra di
loro si stabilisce un collante umano forte quanto una religione, una
cospirazione, una regola monastica, una mistica sovversiva. Lì, ove si abbatte
ogni genere di avversità con la forza fascinatrice del mito (intemperie,
desolazione, rovina, vecchiaia), non può non allignare anche l’archetipo
dell'umanità più malvagia: i due amanti fedifraghi. Su di loro non deve calare
un giudizio morale di condanna perché "necessari" all'economia del
romanzo, necessari quanto Giuda al trionfo di Cristo. Solo che in "Rovine
in attesa" non c'è delitto, né castigo e, peggio ancora, non c'è crisi
catartica, quindi "resurrezione".
Un
consiglio: il libro è così denso di retrogusti che va assaporato soprattutto
dopo che si è finito di leggerlo, rivisitandone le "stanze" che hanno
scaricato sul nostro immaginario le loro suggestioni visuali.
L’autore
Giuseppe Baiocco dice di sé: «Sono un marchigiano delle
Marche "sporche" (cioè del maceratese), mi sono sempre nutrito di
sentimenti forti e passioni che hanno costellato la mia esistenza, in modo
diverso a seconda delle stagioni della vita. La biologia è stata la prima di
queste solo per ordine di tempo (anche perché è quella che mi ha nutrito - in
tutti i sensi - per quarant'anni), poi la poesia (Aretusa, 1986) e infine la
narrativa (Storie di Borgo e di Bottega, 2002 - La donna di Villamare, 2014).
In mezzo a queste, si è inserito l'amore per la fotografia (fotoSvagando), arte
che in qualche modo rappresenta un ponte tra le due potendo essa figurare
immagini estratte dall'immaginario delle altre. Ho rincorso tutta la vita il
grande sogno di scrivere il "mio" romanzo, perché quello (specie se è
il primo e magari sarà anche l'unico) ti rappresenta come nessuna altra cosa al
mondo e proprio come un mondo in cui ti sei incarnato lo puoi condividere, nella sua pienezza psicologica,
anche con chi non ti conosce e non ti conoscerà mai. Il destino ha voluto che,
proprio grazie a "lui", io abbia incontrato per i "mari delle
lettere" Alfonso e il suo romanzo "Le rovine in attesa". Ecco
perché mi trovate in questo blog».
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