1 agosto 2015

"Le rovine in attesa": la recensione di Giuseppe Baiocco

Lo scrittore e neuropsichiatra Giuseppe Baiocco ha scritto una interessante recensione del mio romanzo Le rovine in attesa, cogliendone con grande maestria spunti e suggestioni. Lo ringrazio per il graditissimo omaggio.

La recensione 
Nel romanzo "Le rovine in attesa" di Alfonso Cernelli, il palazzo turrito di don Alberico ci appare come il santuario dell’umana esistenza, svettante verso la sommità del cielo dove ci si aspetterebbe di vedere Mosè ricevere le tavole della legge. Di legge, in realtà, nella torre avita si parla e molto ma nel senso di Costituzione morale da consegnare all’aristocrazia del mondo per liberare l’uomo da ogni "strumento di repressione". Un uomo non utopico – ben inteso – ma storicamente agente nelle lotte di popolo contro il tiranno. Si può giustificare il travolgimento violento di una civiltà, sia pure in rovina, per promuovere un'utopica Costituzione moralmente alta al fine di rendere buona e giusta l'umanità così generata? É da qui che prende corpo la stupenda narrazione del romanzo, anche se lo spleen narrativo si lascia pervadere sin da subito dall'attesa cotardiana del crollo cosmico (una sorta di Aspettando Godot alla rovescia): l’umana ragione dei protagonisti – disastrata dalle storie che la sconvolgono – vive con la disposizione d’animo di chi va in rovina, rassegnato alla fine ineluttabile. Affabulante nella sua desolazione ci appare questo santuario pensile sospeso nel cielo, per raggiungere il quale c’è solo un'angusta via metafisica, il corso: "espressione tanto fuori luogo" da essere essa stessa un non-luogo di quel mondo.
Eccoci dunque, alle relazioni tra i personaggi del romanzo tutte pregne di una crepuscolarità umorale depressa che oscura l'eros del sentimento pur di allontanare la rovina che incombe. E a nulla servirà fuggire lontano in cerca di fortuna, come fa Erminio: la sua non è una ribellione titanica contro il dio-tiranno della storia (i piemontesi) ma un acquattarsi in attesa per ritrovare in essa un cantuccio in cui vivacchiare. Come appaiono lontani i vagheggiamenti su Errico Malatesta al Caffè degli Oracoli e sugli ideali rissosi degli spiriti ribelli!
Quello di don Alberico è un palazzo dell'immaginario, è una galassia dove si approda dalle vie più disparate e da cui non c'è più ritorno perché è frontiera di troppi mondi fantasmatici insieme, quello della ragione in fuga, delle emozioni coercite, delle passioni ritualizzate, dei sentimenti-ossessione. Il marchese e i suoi "cortigiani" si muovono sullo scenario del romanzo come controfigure dell'inconscio, un inconscio più simile ai gironi danteschi che alle istanze freudiane.
Chi vive nella torre è un “eletto” o meglio un predestinato e forse per questo tra di loro si stabilisce un collante umano forte quanto una religione, una cospirazione, una regola monastica, una mistica sovversiva. Lì, ove si abbatte ogni genere di avversità con la forza fascinatrice del mito (intemperie, desolazione, rovina, vecchiaia), non può non allignare anche l’archetipo dell'umanità più malvagia: i due amanti fedifraghi. Su di loro non deve calare un giudizio morale di condanna perché "necessari" all'economia del romanzo, necessari quanto Giuda al trionfo di Cristo. Solo che in "Rovine in attesa" non c'è delitto, né castigo e, peggio ancora, non c'è crisi catartica, quindi "resurrezione".
Un consiglio: il libro è così denso di retrogusti che va assaporato soprattutto dopo che si è finito di leggerlo, rivisitandone le "stanze" che hanno scaricato sul nostro immaginario le loro suggestioni visuali.

L’autore
Giuseppe Baiocco dice di sé: «Sono un marchigiano delle Marche "sporche" (cioè del maceratese), mi sono sempre nutrito di sentimenti forti e passioni che hanno costellato la mia esistenza, in modo diverso a seconda delle stagioni della vita. La biologia è stata la prima di queste solo per ordine di tempo (anche perché è quella che mi ha nutrito - in tutti i sensi - per quarant'anni), poi la poesia (Aretusa, 1986) e infine la narrativa (Storie di Borgo e di Bottega, 2002 - La donna di Villamare, 2014). In mezzo a queste, si è inserito l'amore per la fotografia (fotoSvagando), arte che in qualche modo rappresenta un ponte tra le due potendo essa figurare immagini estratte dall'immaginario delle altre. Ho rincorso tutta la vita il grande sogno di scrivere il "mio" romanzo, perché quello (specie se è il primo e magari sarà anche l'unico) ti rappresenta come nessuna altra cosa al mondo e proprio come un mondo in cui ti sei incarnato lo puoi  condividere, nella sua pienezza psicologica, anche con chi non ti conosce e non ti conoscerà mai. Il destino ha voluto che, proprio grazie a "lui", io abbia incontrato per i "mari delle lettere" Alfonso e il suo romanzo "Le rovine in attesa". Ecco perché mi trovate in questo blog».

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