Il biennio 1988-1989 è stato uno spartiacque importante per
il rock italiano, o meglio per quel “rock italiano cantato in italiano”, secondo
la calzante definizione di Alberto Pirelli, fondatore dell’IRA, la casa discografica
a cui più di ogni altra si deve la scoperta e la promozione dei gruppi new wave
nostrani. È infatti in quel periodo che vengono pubblicati tre dischi
fondamentali: Litfiba 3, Boxe dei Diaframma e Senza rumore dei Moda. Sono album
diversi, che però, oltre all’identità di casa discografica, presentano almeno
due punti di contatto. Il primo è che si tratta del terzo LP per tutti e tre i
gruppi; il secondo è che gli album in questione rappresentano un punto di
svolta decisivo, a volte di non ritorno. Dopo Boxe, Miro Sassolini lascerà i
Diaframma, che raggiungeranno i giorni nostri con Fiumani unico membro
originario. Dopo Litfiba 3, chiusa la “trilogia del potere”, il gruppo di Pelù
e Renzulli andrà incontro al grande successo di pubblico. Di questi due dischi
si è parlato tanto; meno, molto meno, di Senza rumore.
Una piccola premessa è d’obbligo. Sto parlando dei Moda
(senza accento), gruppo new wave degli anni Ottanta, non dei contemporanei
Modà. E in proposito mi permetto un appunto: quando si decide di fondare (e poi
promuovere) un gruppo, sarebbe cosa saggia informarsi, per evitare
scopiazzature dei nomi che, oltre ad essere fonte di equivoci, sono
tremendamente fastidiose. Si pensi in proposito a Il volo, il supergruppo degli
anni Settanta con Alberto Radius; come ben sappiamo, il nome è stato plagiato
per dare vita ad una discutibile operazione musical-commerciale su cui
preferisco soprassedere.
Tornando ai Moda, si potrebbe dire che con Diaframma e
Litfiba hanno rappresentato il trittico delle meraviglie della nostra new wave,
oltre che le punte di diamante dell’IRA. I Moda, però, anche se capitanati da un
leader carismatico come Andrea Chimenti, non hanno avuto né il successo
commerciale dei Litfiba, né una continuità discografica e di seguito (sia pure
di nicchia) come quella dei Diaframma.
Dopo Bandiera (1986) e il cupo Canto pagano (1987), la band toscana
registrò il terzo disco, Senza rumore (1989), che avrebbe dovuto segnarne la
definitiva consacrazione. Dietro l’album c’era forse una precisa operazione
commerciale: realizzare il passaggio dalle atmosfere visionarie e ombrose
degli esordi ad un pop-rock raffinatissimo, ma volutamente più orecchiabile e
vicino ai gusti del mercato. Prova ne è il fatto che la line-up sia stata
arricchita in studio di registrazione da Daniele Trambusti (futuro Litfiba), Francesco
Magnelli (poi CSI) alle tastiere e Demo Morselli ai fiati. Ed è proprio l’uso
intenso delle tastiere e dei fiati a togliere un po’ di freschezza alle
canzoni, che, se fossero state lasciate nella loro essenzialità elettrica,
avrebbero reso meglio.
Dieci le tracce. Si parte con Sogni d’oro, scritta da un
Piero Pelù insolitamente (almeno per quegli anni) solare. Seguono Polvere e
Cammina, elaborate ballate di forte impatto sonoro, con la splendida voce di
Chimenti in evidenza. Ma le canzoni migliori sono nella seconda facciata:
Shalalala, dal ritmo piacevole con ottime parti vocali; Gianni Brillante, dura invettiva
contro i fabbricanti di armi; infine, Albero nero, in cui ritornano le profonde
sonorità degli esordi. Il resto, sia pur pregevole, risente a mio avviso degli
anni, appesantito dagli arrangiamenti non proprio felici.
Il risultato è un lavoro riuscito a metà, buono nella
perizia strumentale e nelle parti vocali, a volte debole negli
arrangiamenti. I Moda tentarono con questo disco il grande salto, ma di lì a
poco decisero di sciogliersi. D’altronde, la grande stagione della wave
italiana era finita: per i fuoriusciti, non restava che cambiare per
sopravvivere, come fecero i Litfiba e i Diaframma. I Moda no, la loro è stata
un’altra storia, egualmente entusiasmante e meritevole di rispetto.
La copertina di "Senza rumore" dei Moda
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