Il 31 gennaio prossimo ricorreranno i
quindici anni dalla scomparsa del maestro Michele Del Verme, singolare figura
di artista cilentano. In particolare, egli apparteneva a quella schiera di
artisti che non esprimono soltanto il mondo che hanno dentro, ma che piuttosto
traggono ispirazione dalla realtà che li circonda, dalla società e dalla
civiltà di cui sono testimoni e partecipi. Il mondo che rappresentava nei
quadri e nei libri era quello del Cilento rurale, o meglio di quella terra
antica legata ai cicli delle stagioni, che andava incontro ai grandi eventi
storici e ai mutamenti del cosiddetto “Secolo breve”, il Novecento.
Nato nell’ottobre del 1908 nel villaggio
di Melito, frazione di Prignano Cilento, mantenne sempre un forte legame con il
paese natale, dove trascorse gran parte della propria esistenza e dove morì il
31 gennaio del 2001. La Grande Guerra lo rese orfano di padre; a Napoli,
all’Istituto d’Arte e Mestieri, imparò i rudimenti della pittura e delle altre
arti, sebbene la sua formazione sia stata prevalentemente autodidatta. La sua
pittura, pertanto, non può essere ricondotta entro i canoni di una scuola o di
una corrente, mantenendo la propria eccentricità. D’altronde, il Cilento è
stata sempre una terra “periferica”, ai margini rispetto alle grandi correnti
artistiche e di pensiero; l’arte cilentana non poteva che soffrire di questa
marginalità, che tuttavia le ha consentito di svilupparsi in quasi totale
autonomia.
Fino alla fine dei suoi giorni, il maestro
accolse visitatori e curiosi nella casa-museo dove aveva allestito una mostra
di pittura permanente, con l’esposizione delle più significative tra le
innumerevoli tele. Dopo la morte, il Comune di Prignano ha deciso di
intitolargli l’istituto scolastico.
Fonte d’ispirazione della sua pittura fu
l’amato Cilento, e si potrebbe dire che due sono le macrocategorie entro le
quali è possibile racchiudere le sue opere. In primo luogo, vi sono le vivide
scene della vita contadina, riportate sulla tela con estremo realismo. Nulla
nascondeva l’artista della durezza dei campi, niente veniva edulcorato. Ecco
così i quadri che seguono il ciclo sempiterno delle stagioni: la raccolta delle
olive, l’aratura, la vendemmia, la raccolta dei fichi e la trebbiatura. I suoi
realistici bozzetti di vita campestre consacrano il forte legame con la terra
natale, dura eppure amata, sì che il pittore diventa la viva voce di quella
classe contadina ridotta per secoli al silenzio. Ha scritto in proposito il
professor La Greca che nei quadri dell’artista prignanese «emotivi sono i
ricordi che si sciolgono in forme semplici che spesso indulgono alla ricchezza
di particolari, usata solo per puntualizzare l’essenzialità del messaggio».
Il secondo gruppo di opere è quello dei
paesaggi e degli scorci: archi, portali, marine, palazzetti nobiliari, isolati
castelli (come quello di Rocca Cilento, più volte raffigurato), chiese o monasteri,
ma anche case private. Non mancano poi tele ispirate ai grandi eventi storici,
come lo sbarco americano a Paestum durante la Seconda Guerra mondiale.
Tanti i riconoscimenti ottenuti negli
anni; tra questi, da ricordare è soprattutto la “Segnalazione bianca” per
l’opera Balcone aperto al chiaro di luna al Premio Prora di Verona (1971), la
cui giuria era composta da grandi nomi della cultura italiana, come Luciano
Bianciardi, Pierluigi Nervi, Enzo Biagi, Dino Buzzati, Eugenio Montale, Mario
Soldati e Indro Montanelli.
Altro campo di studi è stata certamente la
storia locale; tante le pubblicazioni da lui curate sul tema. In un’epoca in
cui non esisteva internet, l’unico modo per affrontare le complesse e costose
ricerche storiografiche era la consultazione degli immensi e polverosi archivi,
da quelli ecclesiastici e parrocchiali passando per quelli delle Università e
degli altri enti di ricerca. Attingendo a piene mani da questo patrimonio,
nulla inventando e sempre citando le fonti, Del Verme pubblicò diversi libri. A
lui, in particolare, si deve la ricostruzione della storia del suo paese
natale, cui dedicò due saggi: Storia e origine di Prignano Cilento e dei suoi
casali Melito e Poglisi e il successivo Prignano Cilento. I casali di Poglisi, Melito e San
Giuliano. Questi e altri libri, come quelli sull’araldica o sulla storia
delle poste, dimostrano l’ecletticità dei suoi interessi, nella continua
ricerca di una sapienza sia popolare che colta.
Personalmente, ricordo un incontro che
ebbi con lui, nella sua casa-museo; ero un adolescente o poco più e in me era
nata la giovanile passione per l’araldica, che poi non ho più coltivato. Ricordo
la benevolenza con cui mi accolse, la pazienza con cui mi parlò delle sue
ricerche, la passione che sprigionavano i suoi occhi lucidi, l’autorevolezza
della lunga barba candida di artista. Quel giorno mi mostrò i quadri e i disegni
fatti a mano degli stemmi delle casate, regalandomi anche un paio di sue pubblicazioni.
In un tempo come il nostro di sfrenata
globalizzazione, in cui tutti tendono superficialmente a dimenticare le proprie
origini, ci sarebbe ancora bisogno di persone come Michele Del Verme, che da
autodidatta è riuscito a far conoscere il suo nome oltre gli angusti confini
del paese natio, pur raccontando usi e costumi della nostra terra.
In senso orario: 1) Il maestro Michele del Verme; 2) Balcone aperto al chiaro di luna (segnalazione Premio Prora 1971); 3) Autoritratto dell'artista circondato da animali.
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta l'articolo!