Mentre Jack Frusciante
è uscito dal gruppo mi aveva sinceramente entusiasmato, Bastogne è riuscito
nell’intento opposto, provocandomi un senso confuso di disturbo e noia. E se
l’effetto disturbante era certamente voluto dall’autore, non credo lo fosse il secondo.
Il romanzo non mi ha avvinto perché, fin dai primi capitoli, si assiste ad
una ripetizione costante di situazioni, gesti ed espressioni, che alla lunga
danno il senso del già sentito. Si potrebbe dire che abbondano le scene forti,
ma si sente la mancanza di una trama forte.
In una Nizza assai
somigliante ad una città della provincia italiana, vivono Raimundo, Ermanno e
Dietrich, poco più che ventenni, dediti principalmente allo spaccio di sostanze
stupefacenti, alle risse da stadio e ai piccoli furti. La situazione prende una
piega ancora più perversa quando fa ritorno in città il Cousin Jerry, punk
dell’ultima ora con una vita di espedienti alle spalle, sbandato ma pieno di
carisma. Sarà lui a trasformare quel gregge di teppistelli di periferia in un
temibile branco di assassini e aguzzini. Spinti dall’odio nei confronti della
società borghese e dei suoi simboli, i quattro iniziano a mettere a ferro e
fuoco la città, con stupri, omicidi, rapine e violenze di ogni genere.
Obiettivo preferito delle loro scorribande sono i “lavoratori”, emblema di
un’umanità servile e prona ai doveri, considerata non meritevole di vivere.
I protagonisti sono
animati da un vago senso di ribellione sociale, di carattere puramente
distruttivo, che li porta a commettere ogni genere di nefandezze, in un
crescendo di violenza che non trova alcuna giustificazione, se non in se
stessa. Ed è proprio questo il punto debole del romanzo: qual è il senso della
rappresentazione di tanto odio? Brizzi non dà alcuna risposta a questa domanda.
Il romanzo manca di spunti critici in tal senso; al di là dei feroci strali
contro la società borghese, l’autore non sembra porsi la domanda, sì scontata, ma
che meriterebbe una risposta: ha senso voler sovvertire una società che si
sente come oppressiva utilizzando i mezzi più devastanti e sanguinari che si
possano immaginare? Leggendo Bastogne tutti questi interrogativi restano
lettera morta. Il libro è il canto perverso di una generazione devastata dalla
droga e istupidita dal benessere; proprio in questo senso, i protagonisti non
sono poi così diversi dal resto dell’umanità, che pure odiano con tutte le loro
forze. Ciò che a loro manca non è la moralità, perché anzi hanno un fortissimo
senso dell’amicizia e della lealtà; il loro più grave peccato è l’essere del
tutto privi di quella forza liberatoria, anarchica e costruttiva, che è l’unica forma di
ribellione possibile. Sono schiavi dello stesso sistema che vorrebbero vincere,
preda degli stessi vizi piccolo-borghesi (le donne, la droga, l’alcool, i
motori) da cui vorrebbero emanciparsi. Ecco perché la loro prepotenza resta
odiosa, stupida, ingiustificata, destinata a sicura sconfitta; ed ecco perché,
viceversa, le pagine più solari e vive del romanzo sono quelle che rievocano i
giorni spensierati dell’infanzia, pieni di una vitalità sincera, non indotta
artificialmente.
Penso dunque che il
libro sia riuscito a metà: sia pure coraggioso per i temi affrontati, non
riesce però a portare il lettore ad un livello più alto di quello meramente
narrativo, ossia il piano della riflessione e del giudizio critico. Una nota di
merito, in ogni caso, va allo stile: veloce, efficace, moderno, ricco di neologismi.
Con Jack Frusciante e, ancora di più, con Bastogne, Brizzi è riuscito a
costruire un linguaggio febbrile, corposo, fulmineo. Se dovessi trovare un
punto di forza nel libro, direi che è certamente nella scrittura.
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta l'articolo!