Sebbene io non sia un
grande conoscitore del fantasy, i libri che ho letto mi hanno convinto che Tolkien resta una vetta inarrivabile. La considerazione non
brilla certo di originalità. Basti pensare al fatto che tutti gli autori che si
cimentano con successo in questo genere vengono paragonati allo scrittore
britannico, assunto a metro comparativo di giudizio. Il punto decisivo è dunque
un altro: indagarne le ragioni.
A mio avviso, la
grandezza di Tolkien non sta tanto nella complessità delle trame o nella costruzione
di un vero e proprio mondo parallelo, quanto piuttosto nella straordinaria
capacità descrittiva ed evocativa delle pagine che ha scritto. Se le prime due
qualità le ritroviamo in molte opere fantasy, è la terza a rendere l’autore
inglese il maestro indiscusso del genere. Prima ancora di aver costruito un
universo fantastico, Tolkien ha studiato attentamente il mondo che lo circondava,
declinandolo nelle sue molteplici sfumature. Si pensi alle descrizioni di
villaggi, campagne, isolati manieri, montagne, dense foreste e laghi: sono così
vivide da costituire uno straordinario volano per l’immaginazione. Oppure si rileggano, ne Lo hobbit, le splendide scenografie
del Bosco Atro, delle Montagne Nebbiose, delle Terre Selvagge, così ricche di
particolari evocativi.
La verità è
che l’autore inglese,
prima ancora di essere uno scrittore di cose fantastiche, era un erudito, uno
studioso del patrimonio folcloristico e delle lingue morte, un profondo conoscitore
della storia e della filologia. Tutti questi elementi sono trasfusi nelle sue
opere, in cui la perfezione del meccanismo narrativo è arricchita da una
tangibile potenza lirica. Le due dimensioni non possono essere scisse, perché
entrambe costituiscono la prova che egli non ha generato dal nulla un universo
fantastico, ma ha saputo creare perché conosceva il creato.
Il suo maggior pregio è stato l’aver elevato a dignità
letteraria un genere di puro intrattenimento. Il fantasy, dopo di lui, si è appiattito
sul dato puramente narrativo, sulla costruzione di intrecci sempre più
complessi e avvincenti, dimenticando a volte la qualità e la bellezza della
scrittura. Ecco perché a Tolkien non va solo il merito di essere stato un
pioniere, ma soprattutto quello di aver strutturato compiutamente un genere,
attraverso opere di una tale perfezione da non lasciare spazio ad epigoni. Forse
esagero, ma credo che, dopo aver letto Il signore degli anelli e Lo hobbit,
non abbia più senso andare avanti. Altri importanti autori si sono limitati a riproporre le stesse circostanze e gli identici
archetipi, sia pure in infinite varianti, con l’aggravante di aver sacrificato
tutto al dato puramente ricreativo, tralasciando quella sottile poesia
che è il tratto caratterizzante dei romanzi di Tolkien.
Una celebre fotografia dello scrittore (tratta da www.tolkien.it).
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