Parlare di Chiamalo
sonno significa innanzitutto interrogarsi sul “caso Henry Roth”, come viene
definito dalla critica. Henry Roth (1906-1995) è stato per lungo tempo autore
di un unico romanzo. Quando Chiamalo sonno uscì, egli aveva ventotto anni ed
era così convinto di aver trasfuso in quell’opera tutto quanto avesse da dire,
da chiudersi in un silenzio durato quasi tre decenni. Iniziò a scrivere un
secondo volume, ma si arrese dopo aver ultimato un centinaio di pagine, colpito
da un oscuro male di vivere a cui sono state date diverse spiegazioni: la
depressione, una forte delusione sentimentale, una crisi mistica, l’isolamento
dovuto alle sue posizioni politiche. Fatto sta che Roth costruì intorno a sé un
muro di silenzio, allontanandosi dal mondo culturale e persino dalla città,
rifugiandosi nella quieta provincia americana. Solo intorno alla metà degli
anni Sessanta, il libro, che aveva continuato a circolare in una ristretta cerchia
di appassionati, venne ristampato negli Stati Uniti e poi in Europa, diventando
un caso letterario e un long-seller, contribuendo
alla riscoperta del suo autore.
Oggi Chiamalo sonno è
considerato un capolavoro, perché, come ha osservato Mario Materassi nella
postfazione all’edizione italiana Garzanti, è un vero e proprio «punto di
coincidenza di tutto il Novecento» letterario e non, in quanto «il suo senso
è un valore permanentemente rinnovantesi».
Il romanzo è
ambientato negli Stati Uniti dei primi anni del secolo scorso, l’epoca
dell’immigrazione di massa. David, un bambino ebreo nato in Austria, giunge
assieme alla madre nella terra delle grandi opportunità, dove il padre si è già
trasferito da un paio di anni. I genitori di David non potrebbero essere più
diversi: dolce e piena di attenzioni la madre, duro e iracondo il padre. Il
piccolo David vive con paura questo contrasto, che viene traslato dalle quattro
mura domestiche al mondo esterno. Nella sua mente si fa strada una concezione
manichea della vita, in cui ogni aspetto viene ad essere classificato secondo
la rigorosa dicotomia bene-male. Il padre, le tenebre, la cantina e i coetanei
rappresentano il male, l’oscurità fisica e morale da cui fuggire. Dall’altro
lato, invece, c’è la madre, che agli occhi di David è il concentrato supremo di
ogni bene. L’intera realtà viene trasfigurata attraverso gli occhi del bambino,
che sono il privilegiato punto di osservazione scelto da Roth nella stesura del
romanzo. Nelle pagine si alternano dati reali e immaginifici, in quanto
l’intera narrazione viene filtrata e quasi inquinata dalle visioni di David,
continuamente in bilico tra un mondo palpabile, duro e crudo, e una dimensione
fantastica, rassicurante e onirica. Chiamalo sonno non è dunque propriamente
un romanzo di formazione; sebbene vi sia una crescita graduale e sofferta del
protagonista, nel finale si ascolta quasi un canto di resa, un totale rifiuto
del dato reale in favore del sicuro rifugio rappresentato dall’abbraccio
materno.
Il libro è un vivido
ritratto dell’America del primo Novecento, un Paese in grande fermento per
effetto di un’ondata migratoria che contribuirà a delinearne il volto moderno,
il cosiddetto melting pot. Straordinario poi il linguaggio utilizzato da Roth, che
alterna slanci lirici a chiacchiere da bar, mescola il turpiloquio col linguaggio
alto, combina sapientemente l’inglese, lo yiddish e la babele di lingue parlate
dagli immigrati, italiani compresi. Nel suo capolavoro, Roth è stato attento
alla descrizione dei luoghi e dei tipi umani: i personaggi sono pochi, ma di
indimenticabile spessore. Si pensi ad Albert, il padre di David, un uomo rude e
violento, i cui improvvisi scatti d’ira sono talmente prorompenti da mettere in
soggezione persino il lettore. Si rimane incantati, poi, dalla dolcezza di
Genya, stupiti dalla sboccataggine di Bertha, entusiasmati dalla baldanza del
giovane Leo.
E alla fine mi viene
da dire che forse ha ragione chi ritiene che Chiamalo sonno rappresenti la
summa di tutta la letteratura del Novecento: perché David è solo un bambino, ma
incarna tutte le ansie e le angosce dell’uomo moderno, diviso tra il richiamo
della tradizione religiosa e le blandizie del progresso, tra la paura dell’autorità e un’incontenibile
voglia di ribellione.
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