Il trono di legno è un
romanzo particolare, non inquadrabile entro gli angusti confini di un genere.
Può essere definito come lo struggente canto di addio dell’ancestrale civiltà
contadina, travolta dall’avanzare della modernità. Al tempo stesso, è un elogio
della bellezza del raccontare e dell’arte di inventare storie. I due aspetti sono
strettamente collegati, in quanto quasi tutti i miti e le leggende sono nati in
contesti rurali. Si pensi alle storie intorno al focolare, alle favole narrate
dagli anziani nelle rigide serate d’inverno, oppure ai racconti che allietavano
il duro lavoro dei campi. È questo il mondo che Sgorlon ha voluto rievocare nel
romanzo, con viva partecipazione e un soffuso rimpianto per la sua
scomparsa.
La vicenda è ambientata
in quel fazzoletto di terra friulana che Sgorlon conosceva bene, nei villaggi
di Ontans e Cretis spersi tra i brulli magredi e le sempiterne nevi delle Alpi.
Il protagonista, Giuliano, è uno strano essere selvatico che sente di non appartenere
al presente o al futuro, ma al passato, alla civiltà dei contadini e degli
artigiani. Vive a Ontans assieme a Maddalena, che non è sua madre e neppure una
parente, ma una donna che ha deciso di prendersi cura di lui per espiare una
colpa del passato. Giuliano non sa nulla della storia della sua famiglia, che
imparerà a conoscere attraverso dettagli che gli si riveleranno negli anni.
Verrà così a sapere che il nonno, noto semplicemente come il Danese, ha avuto
un’esistenza errabonda e avventurosa, quasi come il personaggio di un romanzo.
Ritrovare il Danese, o almeno qualche traccia ulteriore della sua esistenza,
diviene così il suo obiettivo. Giuliano, però, è un ragazzo irrequieto e proprio
la sua inquietudine lo porterà ad allontanarsi dalla via maestra che aveva
creduto di poter tracciare. Tale irrequietezza nasce dalla convinzione secondo cui
la dimensione fenomenica è solo l’aspetto tangibile del reale, dietro il quale
si cela una dimensione più profonda e vera, che non è tattile ma fantastica,
inafferrabile eppure tanto più concreta. L’ambiguità si riverbera in ogni
aspetto della sua vita, come nel rapporto con le donne: Giuliano, infatti, sa
amare con la stessa intensità sia la materna e rassicurante Lia che la
silvestre e sfuggente Flora.
Ben può affermarsi che
Il trono di legno è un romanzo di formazione, perché Giuliano, alla fine del
suo girovagare, acquista una nuova consapevolezza, la forma definitiva del suo
essere. Egli rinuncia a girare il mondo, abbandonando il giovanile proposito di
vivere all’avventura; preferisce rifugiarsi nell’antica magione di Cretis,
unico luogo in cui riesce a placare le ansie che lo tormentano fin
dall’infanzia. Comprende che la pienezza dell’esistenza può realizzarsi anche
in un minuscolo villaggio nel cuore delle Alpi, microcosmo che raccoglie in sé
il ricordo di molte vite passate e l'attesa del divenire. Giuliano sceglie
di diventare un narratore, seduto sul severo seggiolone di legno così simile ad
un trono contadino, circondato dai bambini che a bocca aperta ascoltano le sue
meravigliose storie.
La fortunata opera di
Sgorlon può dunque essere letta come un elogio della fantasia, che ha una
valenza creatrice quasi divina. Le leggende e i miti hanno la stessa essenza
della realtà, anzi sono l’unica realtà possibile. L’uomo che inventa storie, il
narratore, possiede un dono straordinario, che fa di lui un eletto, elevandolo
al rango di un dio. Sono le parole del protagonista a chiarire magistralmente
questo concetto.
«La realtà e la vita sono soltanto un miraggio che non si lascia raggiungere; esse si possiedono soltanto nel ricordo, nella fantasia, nella parola e nel racconto. La vita era soltanto illusione, attesa di qualcosa che non veniva mai, e noi ombre sfocate e vane, scosse da assurde passioni. […] Attraverso la fantasia avrei potuto vivere e raccontare tutte le avventure del mondo, mentre viverle veramente, ora, mi avrebbe generato solamente un sentimento di noia e di ripetizione.»
un commento ben fatto e ben elaborato. Bravissimo complimenti
RispondiEliminaGrazie mille; devo dire che è stata una recensione piuttosto "difficile" da scrivere, quindi sono contento di aver colto nel segno.
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