Nell’anno di grazia
1981 il furore punk era già archiviato, Sid Vicious era morto da tempo e Johnny
Rotten si era rifatto una vita coi Public Image Ltd. I Sex Pistols, coerenti
con la filosofia del no future, rappresentavano
un passato glorioso da destinare ai libri di storia. Steve Jones e Paul Cook,
rispettivamente chitarra e batteria dei Pistols, avevano già da un paio d’anni
fondato i Professionals, un gruppo che, sfruttando la popolarità dei fondatori,
aveva firmato con la Virgin. Dopo un singolo di rodaggio, avrebbero dovuto
esordire su LP, ma una serie di problemi legali ritardarono l’uscita del disco,
che vide la luce solo nel 1990 con una nuova etichetta e in edizione limitata.
Dopo un cambio di formazione e un tour prima annunciato e poi disdetto, i Professionals
tornarono in studio di registrazione e nel novembre 1981 licenziarono I didn’t see it coming (letteralmente, Non l’ho visto arrivare). Mai titolo fu
più profetico: pochi giorni dopo la pubblicazione, tre membri del gruppo
rimasero feriti in un incidente stradale negli Stati Uniti, in Minnesota, dove
si erano recati per promuovere il lavoro. L’incidente costrinse la band ad un
periodo di inattività, che contribuì a far cadere nel dimenticatoio il disco,
nonostante alcune buone recensioni. Nel 1982 tornarono in tour negli Stati
Uniti, ignorando ancora una volta l’Inghilterra, e in quell’occasione
suonarono come gruppo di apertura ai concerti dei Clash. Alla fine del tour,
Cook, Meyers e Mc Veigh tornarono in patria, mentre Jones rimase negli Usa,
segnando di fatto lo scioglimento della sfortunata formazione. A trent’anni di
distanza, nel 2015, i Professionals, guidati dal solo Paul Cook alla batteria,
sono ritornati con una raccolta, una serie di concerti e un annunciato nuovo album.
Nell’accingersi a
recensire I didn’t see it coming
(1981), bisogna partire da una domanda: cosa accade se le figure meno
carismatiche di una band arcinota decidono di provarci da sole? Potrebbero
sfornare il capolavoro che non ti aspetti, oppure un disco pietoso. Esiste però
una terza strada, quella di fatto percorsa dai nostri: licenziare un disco
onesto, non straordinario ma con buoni spunti. L’album in questione segue la
strada maestra dei Sex Pistols: si tratta di punk che strizza l’occhio al glam,
fatto di canzoni più lunghe e meno veloci dello standard, con pezzi
interessanti, che qualche volta denotano tuttavia una carenza di fantasia nelle
soluzioni ritmiche. Privo di particolari doti vocali, il gruppo spesso si
affida ai cori e ad un robusto muro del suono, grazie alla collaborazione di
Paul Meyers al basso e Ray Mc Veigh alla seconda chitarra. La copertina
tradisce l’intenzione di pestare duro: di grande impatto, rappresenta un
pugile colpito in pieno viso da un potente destro, che evidentemente non aveva
visto arrivare (come da titolo).
Il lato A è
decisamente il migliore. Si parte forte con i primi solchi di The magnificent, che la leggenda vuole
sia dedicata a Sid Vicious. In effetti il brano narra della rapida ascesa e
dell’altrettanto fulminea caduta di un personaggio del mondo dello spettacolo. Potente
il ritornello: «Who put you on the wall?/
Who's the one who has to watch you fall?/ Who put you on the pedestal?/ Who's
the one who wins out pass the fool?». Segue Payola,
canzone ironica che stigmatizza la pratica, in uso tra le radio, di farsi
pagare dalle etichette discografiche (o dagli stessi gruppi) in cambio della
messa in onda dei loro brani. Il pezzo ha un ritmo sostenuto con le chitarre elettriche
a farla da padrone, anche se è evidente una semplicità della scrittura, che
indulge nel ritornello orecchiabile. La terza traccia, Northern slide, è una delle migliori, grazie ad una inusuale tromba
che cerca di imporsi sopra il muro chitarristico. Seguono i nostalgici ricordi
di vita punk di Friday night square, pezzo
più lento e dal ritmo cantilenante, che affronta la dipendenza dalle droghe. Espliciti
i versi «Some black dude, he said, “Come
along with me/ I think I know the type of thing you need.”/ I will wait, I will
get anew,/ I hope she comes and gets me pretty soon./ Feeling hard, trying to
feel so mean,/ I always hate these type of scenes». Chiude la facciata la bellissima Kick down the doors, che profuma di
riscatto di periferia, di affrancamento da una vita balorda. È una ballata che
richiama alla mente le cose migliori dei Generation X e che si impone grazie ad
uno scaltro ritornello.
Il secondo lato si
apre col botto. Little boys è
tiratissima e splendida, un canto di protesta che non avrebbe sfigurato nel
repertorio dei Clash. È l’urlo dei Professionals contro i simboli di una
società oppressiva: il lavoro, la scuola e la polizia. Da antologia
punk i primi versi: «Little
boys like you, they got a job to do/ in a uniform, I’ll tell you what to do./
Help old ladies across the street,/ direct the traffic in the sleep./ It’s a job that you won’t mind». Trascurabili le successive All the way e Crescendo, meri riempitivi non degni di nota. Il livello si alza alla fine con Madhouse, il grido di disperazione di un
internato in un manicomio che chiede aiuto a chi non può o non vuole sentirlo, e
con la conclusiva Too far to fall, in
cui ritorna lo straniante suono della tromba sopra una piacevole melodia
sostenuta dalle due chitarre.
Pur non trattandosi di
un LP indispensabile, va comunque premiata la pervicace coerenza del gruppo,
che rimase ancorato ai fasti degli anni ’70 senza farsi abbagliare dalle nuove
sonorità elettroniche. La furia iconoclasta dei Sex Pistols era già un lontano
ricordo, ma i Professionals misero egualmente entusiasmo e mestiere al servizio
di un buon album, la cui principale pecca, se ne vogliamo proprio individuare
una, è quella di correre con il freno tirato in alcuni punti.
È stato ristampato in
CD nel 2001 dalla EMI, ma è molto meglio procurarsi il vinile usato, anche se
nell’edizione italiana (codice VIL12220) mancano i testi e la confezione è
piuttosto scarna.
La copertina del disco
La band, fotografia sul retro dell'edizione italiana
Per chi volesse saperne di più, la storia del gruppo è raccontata sul sito comune di Cook e Jones: http://www.cookandjones.co.uk/
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