Sebbene molti recensori abbiano evidenziato un netto distacco rispetto
al precedente Grande nazione, a mio avviso i Litfiba hanno invece proceduto
lungo la strada della continuità. Grande nazione segnava il ritorno dello
storico duo Pelù-Renzulli dopo tredici anni, ma soprattutto si caratterizzava
per una buona dose di watt, dopo la parentesi pop di Infinito, album
all’epoca sottovalutato ma non privo di spunti. Eutòpia è un disco quadrato,
di solido rock, grazie ad una pimpante sezione ritmica (Luca Martelli, già coi Rossofuoco,
e Ciccio Li Causi, ex Negrita) e al costante fraseggio tra chitarre e tastiere
(suonate anche dal mitico Antonio Aiazzi).
Nel rispetto della tradizione, i Litfiba sfornano dieci canzoni
tiratissime, quasi tutte di protesta/impegno civile, anche se a volte le armi
sembrano un po’ spuntate. Colpa non tanto dei testi, che pure in certi momenti
fanno rimpiangere la felice vena polemica e ironica del passato, quanto
piuttosto del fatto che il nemico è cambiato, è diventato più subdolo, feroce e
sanguinario. Oggi il nemico indossa le vesti del terrorista, del finanziere
senza scrupoli o del feroce tiranno, contro cui gli alfieri del rock possono
poco o nulla. Eppure, i Litfiba sanno che anche in quest’epoca c’è
maledettamente bisogno di un canto di protesta, che cercano
caparbiamente di portare avanti.
Eutòpia è però soprattutto un inno di speranza, una risposta al
conformismo di massa e al vuoto democratico odierno. Come chiarito da Piero e
Ghigo nel corso di una conferenza stampa, è la somma di tutte le democrazie, il
buon luogo dove si lotta contro l’appiattimento delle idee, la prepotenza e
l’infelicità. I due hanno tenuto a precisare che Eutòpia non è (solo)
un’utopia, ovvero un non luogo, ma il luogo concreto delle idee o, se si vuole,
il mondo ideale, l’isola che c’è oltre il conformismo del pensiero. A corredo
di queste dichiarazioni di intenti, la grafica e le foto interne del libretto
richiamano atmosfere steampunk, con i
due compari che si aggirano tra sommergibili e locomotive a vapore del Museo
della Scienza e della Tecnologia di Milano.
Si parte con la potente Dio del
tuono, canzone di impatto che serve soprattutto a sciogliere il ghiaccio.
Segue L’impossibile, primo singolo
radiofonico. La canzone è un’invettiva contro i potenti della Terra, in cui
Piero immagina di essere un novello Davide che si scaglia contro il gigante.
Volutamente orecchiabile, si stampa nella mente e si candida a diventare un
inno di questi nuovi Litfiba 2.0. Maria
coraggio, dedicata a Lea Garofalo, che ebbe il coraggio di ribellarsi alla
ndrangheta e per questo fu uccisa, è uno dei pezzi migliori, con testo e parti
vocali convincenti. I Litfiba tornano ad alzare la voce contro tutte le mafie,
come nel 1993 con il riuscitissimo Terremoto; il brano trasuda impegno
civile, con un ritmo martellante che rafforza il messaggio. Trascurabili Santi di periferia e Gorilla go; quest’ultima, in
particolare, richiama certe cose non proprio entusiasmanti del Pelù solista (Bomba boomerang), ma è impreziosita da
un bel lavoro di Ghigo alla chitarra, con il suo inconfondibile wah-wah. Si ritorna su livelli alti con
la successiva In nome di dio, di stringente
attualità perché parla delle guerre di religione, dell’idiozia di chi non esita
ad uccidere in nome del proprio idolo e dell’ipocrisia dell’Occidente, che con
le bombe impone il culto del Dio Denaro.
Ripete gli stilemi delle più classiche ballate litfibiane la settima
traccia, la meravigliosa Straniero.
Ascoltarla è come salire sopra una macchina del tempo, tra echi di Tex e Spirito, con il mellotron suonato da Aiazzi a reggere le fila. Sono
anni che Piero sostiene la causa dei migranti e dell’abolizione delle
frontiere; indipendentemente da come la si pensi in proposito, non si può certo
dire che i Litfiba vogliano cavalcare l’onda, o che manchino di coerenza. Il
testo ispiratissimo e l’atmosfera sognante ne fanno l’apice del disco.
Il trittico finale vive di alti (Oltre
ed Eutòpia) e bassi (Intossicato). La prima è quella che più
mi ha ricordato le situazioni eighties
di Litfiba 3, con un arrangiamento
decisamente migliore. La title track è
probabilmente destinata a diventare un classico del repertorio, grazie ad un
ritornello che si presta molto bene ai live:
«Se Eutòpia è un sogno io voglio
continuare a sognare / Se Eutòpia è uno sbaglio io voglio continuare a
sbagliare / Se Eutòpia è lotta io voglio continuare a lottare».
Il rischio che una band longeva come i Litfiba corre,
proponendo un ennesimo album di inediti, non è tanto quello di licenziare un
disco brutto (perché il mestiere c’è e si sente), né quello di ripetersi,
quanto piuttosto quello di non aggiungere nulla di nuovo rispetto ad una
discografia già compiuta. Non so se con i lavori precedenti i Litfiba abbiano detto
tutto quello che avevano da comunicare, né se di Eutòpia ce ne fosse davvero bisogno. Fatto sta che il disco suona
potente e piacevole, rendendo di più nei brani che occhieggiano al passato (Oltre, Straniero, Maria coraggio)
rispetto a quelli ascrivibili al sound del nuovo millennio (Gorilla go, Dio del tuono). Credo
funzionerà bene dal vivo, nella speranza che venga riproposto il magico
fraseggio tra le chitarre di Ghigo e le tastiere di Aiazzi, che riesce ancora
ad emozionare. Lunga vita al bandido
Litfiba!
Una foto tratta dal libretto interno del disco
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta l'articolo!