14 ottobre 2018

"Le menzogne della notte" di Gesualdo Bufalino: l’inestricabile garbuglio del reale

Tra i diversi titoli che Bufalino aveva pensato per questo romanzo, prima di prediligere Le menzogne della notte, uno in particolare lo aveva a lungo tentato, senza riuscire però a sedurlo. Qui pro quo era il titolo provvisorio, che a ben vedere si adattava ai temi più profondi del romanzo: l’equivoco, il nascondimento della verità, la perfetta sovrapponibilità tra sincerità e menzogna.
In un’isola-carcere del Mediterraneo quattro condannati a morte trascorrono l’ultima notte prima dell’esecuzione. Un poeta, un nobiluomo, un soldato e uno studente, rei confessi di lesa maestà e attentato contro la vita del Sovrano, sodali di una setta liberale e carbonara guidata da un misterioso burattinaio che si fa chiamare Padreterno. Il governatore del penitenziario, consapevole che l’esecuzione dei quattro non sarà sufficiente per estirpare il seme ribelle dal Regno, fa loro una proposta conveniente: la rivelazione dell’identità del Padreterno in cambio della vita. Il tradimento di un solo anonimo sarà sufficiente per graziare tutti dalla forca. Le coordinate spazio-temporali non sono individuate con certezza, ma sono perfettamente intuibili: il Regno delle Due Sicilie negli ultimi anni di Ferdinando II. Il carcere potrebbe essere quello dell’Isola di Santo Stefano, effettivamente destinato ai detenuti politici.
L’attesa della fine (o dell'infame salvezza) viene ingannata dai quattro concedendosi un’ora di tempo ciascuno per raccontare l’episodio più significativo della propria vita, il momento di perfetta felicità che li lasci morire senza rimpianti. L’espediente del racconto è ovviamente ispirato al Decamerone, che pure presenta dei personaggi in pericolo di vita che trovano nella narrazione un rifugio al male che li circonda. Come tuttavia osservato dallo stesso Bufalino, la differenza con l’opera di Boccaccio sta nel fatto che ne Le menzogne della notte la vicenda che fa da cornice alle storie è una «cornice forte, cornice fiume coi racconti come affluenti».
Tema centrale, come ho anticipato, è la perfetta sostituibilità del vero e del falso, che finiscono per avere il medesimo valore, essendo finanche intercambiabili. Il raccontare ha così la duplice valenza dell’intima confessione e dell’estremo tentativo di falsificare le carte per tentare un ultimo scacco al potere. La prossima decapitazione dovrebbe indurre i protagonisti a non nascondere nulla, non avendo un moribondo interesse o guadagno da una menzogna. E invece le ultime pagine rovesciano completamente la prospettiva, mettendo in discussione quanto oramai si dava per certo e assodato. La stessa causa liberale è controversa, tanto che non si comprende quale sia il confine, nell’agire dei congiurati, tra l’ideale e l’opportunismo, tra il martirio e la giusta condanna. Sceverando il bianco e il nero nell’animo dei protagonisti, si scoprono motivazioni personali futili e spesso bieche, camuffate da sete di giustizia sociale per un sottile gioco di ambiguità. Vale la pena precisare che nessuna retorica risorgimentale anima il libro, poiché il tema centrale è di portata universale e avrebbe potuto essere affrontato a qualsiasi latitudine o epoca storica. Difatti a Bufalino non interessa chiarire se i suoi personaggi siano eroi o ciarlatani: le loro vicende sono funzionali a rivelare il garbuglio del reale, e tanto basta.
Due parole sullo stile, che, come in tutti i romanzi dello scrittore siciliano, è colto e ricercato. L’autore gioca con parole rare, desuete o arcaiche; se ne potrebbe agevolmente riempire un quaderno per arricchire il nostro povero lessico quotidiano. Inoltre il testo è disseminato di citazioni storiche e letterarie, nonché di rimandi ad altre opere. A solo titolo di esempio, si pensi ad Agesilao, il nome scelto per il personaggio del soldato, sicuramente ispirato a quell’Agesilao Milano, militare anch’egli, che nel 1856 attentò alla vita di Ferdinando II.
Il libro, definito dallo stesso autore «fantasia storica, giallo metafisico e moralità leggendaria», si è aggiudicato il Premio Strega nel 1988.

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