Tra i diversi titoli che Bufalino aveva pensato per questo romanzo,
prima di prediligere Le menzogne della
notte, uno in particolare lo aveva a lungo tentato, senza riuscire però a
sedurlo. Qui pro quo era il titolo
provvisorio, che a ben vedere si adattava ai temi più profondi del romanzo:
l’equivoco, il nascondimento della verità, la perfetta sovrapponibilità tra
sincerità e menzogna.
In un’isola-carcere del Mediterraneo quattro condannati a morte
trascorrono l’ultima notte prima dell’esecuzione. Un poeta, un nobiluomo, un
soldato e uno studente, rei confessi di lesa maestà e attentato contro la vita
del Sovrano, sodali di una setta liberale e carbonara guidata da un misterioso
burattinaio che si fa chiamare Padreterno. Il governatore del penitenziario,
consapevole che l’esecuzione dei quattro non sarà sufficiente per estirpare il
seme ribelle dal Regno, fa loro una proposta conveniente: la rivelazione
dell’identità del Padreterno in cambio della vita. Il tradimento di un solo
anonimo sarà sufficiente per graziare tutti dalla forca. Le coordinate
spazio-temporali non sono individuate con certezza, ma sono perfettamente
intuibili: il Regno delle Due Sicilie negli ultimi anni di Ferdinando II. Il
carcere potrebbe essere quello dell’Isola di Santo Stefano, effettivamente
destinato ai detenuti politici.
L’attesa della fine (o dell'infame salvezza) viene ingannata dai quattro concedendosi un’ora di tempo ciascuno per raccontare l’episodio più significativo della propria vita, il momento di perfetta felicità che li lasci morire senza rimpianti. L’espediente del racconto è ovviamente ispirato al Decamerone, che pure presenta dei personaggi in pericolo di vita che trovano nella narrazione un rifugio al male che li circonda. Come tuttavia osservato dallo stesso Bufalino, la differenza con l’opera di Boccaccio sta nel fatto che ne Le menzogne della notte la vicenda che fa da cornice alle storie è una «cornice forte, cornice fiume coi racconti come affluenti».
L’attesa della fine (o dell'infame salvezza) viene ingannata dai quattro concedendosi un’ora di tempo ciascuno per raccontare l’episodio più significativo della propria vita, il momento di perfetta felicità che li lasci morire senza rimpianti. L’espediente del racconto è ovviamente ispirato al Decamerone, che pure presenta dei personaggi in pericolo di vita che trovano nella narrazione un rifugio al male che li circonda. Come tuttavia osservato dallo stesso Bufalino, la differenza con l’opera di Boccaccio sta nel fatto che ne Le menzogne della notte la vicenda che fa da cornice alle storie è una «cornice forte, cornice fiume coi racconti come affluenti».
Tema centrale, come ho anticipato, è la perfetta sostituibilità del vero
e del falso, che finiscono per avere il medesimo valore, essendo finanche
intercambiabili. Il raccontare ha così la duplice valenza dell’intima
confessione e dell’estremo tentativo di falsificare le carte per tentare un
ultimo scacco al potere. La prossima decapitazione dovrebbe indurre i
protagonisti a non nascondere nulla, non avendo un moribondo interesse o
guadagno da una menzogna. E invece le ultime pagine rovesciano completamente la
prospettiva, mettendo in discussione quanto oramai si dava per certo e
assodato. La stessa causa liberale è controversa, tanto che non si comprende
quale sia il confine, nell’agire dei congiurati, tra l’ideale e l’opportunismo,
tra il martirio e la giusta condanna. Sceverando il bianco e il nero nell’animo
dei protagonisti, si scoprono motivazioni personali futili e spesso bieche,
camuffate da sete di giustizia sociale per un sottile gioco di ambiguità. Vale
la pena precisare che nessuna retorica risorgimentale anima il libro, poiché il
tema centrale è di portata universale e avrebbe potuto essere affrontato a
qualsiasi latitudine o epoca storica. Difatti a Bufalino non interessa chiarire
se i suoi personaggi siano eroi o ciarlatani: le loro vicende sono funzionali a
rivelare il garbuglio del reale, e tanto basta.
Due parole sullo stile, che, come in tutti i romanzi dello scrittore
siciliano, è colto e ricercato. L’autore gioca con parole rare, desuete o
arcaiche; se ne potrebbe agevolmente riempire un quaderno per arricchire il
nostro povero lessico quotidiano. Inoltre il testo è disseminato di citazioni
storiche e letterarie, nonché di rimandi ad altre opere. A solo titolo di esempio,
si pensi ad Agesilao, il nome scelto per il personaggio del soldato,
sicuramente ispirato a quell’Agesilao Milano, militare anch’egli, che nel 1856
attentò alla vita di Ferdinando II.
Il libro, definito dallo stesso autore «fantasia storica, giallo metafisico e moralità leggendaria», si è
aggiudicato il Premio Strega nel 1988.
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