5 gennaio 2019

Undici canzoni d’autore con la rabbia dentro. Il ritorno di Giorgio Canali

Il settimo disco di Giorgio Canali & Rossofuoco segue di ben sette anni l’ultimo di inediti, il ruggente Rojo. Il successivo Perle per porci, del 2016, era invece composto esclusivamente da cover di canzoni italiane poco conosciute. Durante tutto questo tempo il gruppo non è stato fermo, ma ha continuato incessantemente a girare in tour; la lunga latitanza discografica aveva tuttavia generato molte attese intorno a questo lavoro. Undici canzoni di merda con la pioggia dentro (2018) è un disco visceralmente “canaliano”, con i suoi alti e bassi. Il confronto con i precedenti è necessario, se non altro perché i Rossofuoco hanno abituato bene il proprio pubblico. Tutti contro tutti del 2007, Nostra signora della dinamite del 2009 e Rojo (2011) sono tre ottimi album, che conoscono pochissimi cali di ispirazione. Paragonato ai precedenti, questo Undici canzoni si posiziona un gradino sotto, perché vive di momenti altalenanti: decisamente sopra la media almeno sei tracce, un po’ sottotono le altre.
Il mestiere c’è e si sente. La formazione è ormai collaudata da innumerevoli esibizioni live: Canali e Steve Dal Col alle chitarre, Marco “Testadifuoco” Greco al basso e Luca Martelli a picchiare le pelli. Undici le tracce, come da titolo, tutte con qualche riferimento alla pioggia, intesa nel significato materiale («piove, finalmente piove, ‘fanculo le mie scarpe nuove») e simbolico («precipitare leggero come pioggia di marzo, sperando di caderti vicino»). Il disco suscita l’impressione di un dosato equilibrio: Canali miscela sapientemente brani elettrici dall’impronta dura con parentesi acustiche maggiormente dilatate; il tutto condito da tinte fosche, da accenti claustrofobici se non apocalittici. La traccia di apertura, Radioattività, è una mazzata al cuore, una cruda ma realistica storia di solitudine in cui non c’è redenzione, né un lieto fine. È un pezzo dall’incedere marziale, che si chiude con l’immagine di lei che «se n’è andata via col vento e non tornerà, non tornerà». Amore e lividi, passione e abbandono sono per Canali esiti opposti ma inevitabili; si ascolti in proposito la meravigliosa Estaate. Torna una tematica già affrontata in una canzone del passato, Tutti gli uomini, ovvero l’illusione dell’innamoramento, questa volta però dal punto di vista maschile. «Naufragherò in un altro sorriso; poi bottiglie scolate per chiuderci dentro messaggi a nessuno», canta infatti il chitarrista di Predappio nella ballata simbolo dell’album, quella Messaggi a nessuno che si colloca al vertice della sua produzione. Canali è un maestro di ballate fottutamente malinconiche; si pensi, solo per citarne alcune, a Controvento, Lezioni di poesia, Orfani dei cieli o Non dormi. Non mancano pezzi più energici, da cantare a squarciagola, coi soliti strali contro la «gente che passa la vita a dire sì, ad obbedire» (Undici) e la società ipocrita e benpensante delle «spose fortunate, bagnate, poi prese a legnate e sbattute in tv» (Piove, finalmente piove). Validissime sono altre due canzoni, l’intimista Estaate e Fuochi supplementari, vera e propria gemma di cosmico pessimismo.
Convincono meno alcuni pezzi della seconda parte: Danza della pioggia e del fuoco e Mille e non più di mille sanno di già sentito, mentre Mandate Bostik dà l’impressione di un’idea buona non sviluppata a sufficienza. Emilia parallela, invece, sembra quasi un omaggio ad Emilia paranoica, cavallo di battaglia dei CCCP, senza però avere la medesima spinta rivoluzionaria. In conclusione, c’è da dire che Canali si mette a nudo più che nel passato, come si evince dalla componente autobiografica dei brani, decisamente prevalente rispetto ai consueti toni battaglieri e polemici. Ne consiglio l’acquisto, perché dentro c’è tanto mestiere nel songwriting; d’altronde, pezzi come Messaggi a nessuno, Undici, Estaate e Fuochi supplementari valgono da soli il prezzo del biglietto.

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