Il settimo disco di Giorgio Canali & Rossofuoco segue di ben sette
anni l’ultimo di inediti, il ruggente Rojo.
Il successivo Perle per porci, del
2016, era invece composto esclusivamente da cover di canzoni italiane poco
conosciute. Durante tutto questo tempo il gruppo non è stato fermo, ma ha
continuato incessantemente a girare in tour; la lunga latitanza discografica
aveva tuttavia generato molte attese intorno a questo lavoro. Undici canzoni di merda con la pioggia
dentro (2018) è un disco visceralmente “canaliano”, con i suoi alti e
bassi. Il confronto con i precedenti è necessario, se non altro perché i
Rossofuoco hanno abituato bene il proprio pubblico. Tutti
contro tutti del 2007, Nostra signora
della dinamite del 2009 e Rojo (2011)
sono tre ottimi album, che conoscono pochissimi cali di ispirazione.
Paragonato ai precedenti, questo Undici
canzoni si posiziona un gradino sotto, perché vive di momenti altalenanti:
decisamente sopra la media almeno sei tracce, un po’ sottotono le altre.
Il mestiere c’è e si sente. La formazione è ormai collaudata da
innumerevoli esibizioni live: Canali
e Steve Dal Col alle chitarre, Marco “Testadifuoco” Greco al basso e Luca
Martelli a picchiare le pelli. Undici le tracce, come da titolo, tutte con
qualche riferimento alla pioggia, intesa nel significato materiale («piove, finalmente piove, ‘fanculo le mie
scarpe nuove») e simbolico («precipitare
leggero come pioggia di marzo, sperando di caderti vicino»). Il disco
suscita l’impressione di un dosato equilibrio: Canali miscela sapientemente
brani elettrici dall’impronta dura con parentesi acustiche maggiormente
dilatate; il tutto condito da tinte fosche, da accenti claustrofobici se non
apocalittici. La traccia di apertura, Radioattività,
è una mazzata al cuore, una cruda ma realistica storia di solitudine in cui non
c’è redenzione, né un lieto fine. È un pezzo dall’incedere marziale, che si
chiude con l’immagine di lei che «se n’è
andata via col vento e non tornerà, non tornerà». Amore e lividi, passione
e abbandono sono per Canali esiti opposti ma inevitabili; si ascolti in proposito la meravigliosa Estaate. Torna una tematica già
affrontata in una canzone del passato, Tutti
gli uomini, ovvero l’illusione dell’innamoramento, questa volta però dal
punto di vista maschile. «Naufragherò in
un altro sorriso; poi bottiglie scolate per chiuderci dentro messaggi a
nessuno», canta infatti il chitarrista di Predappio nella ballata simbolo dell’album,
quella Messaggi a nessuno che si
colloca al vertice della sua produzione. Canali è un maestro di ballate
fottutamente malinconiche; si pensi, solo per citarne alcune, a Controvento, Lezioni di poesia, Orfani dei
cieli o Non dormi. Non mancano
pezzi più energici, da cantare a squarciagola, coi soliti strali contro la «gente che passa la vita a dire sì, ad
obbedire» (Undici) e la società
ipocrita e benpensante delle «spose
fortunate, bagnate, poi prese a legnate e sbattute in tv» (Piove, finalmente piove). Validissime
sono altre due canzoni, l’intimista Estaate
e Fuochi supplementari, vera e
propria gemma di cosmico pessimismo.
Convincono meno alcuni pezzi della seconda parte: Danza della pioggia e del fuoco e Mille e non più di mille sanno di già sentito, mentre Mandate Bostik dà l’impressione di
un’idea buona non sviluppata a sufficienza. Emilia
parallela, invece, sembra quasi un omaggio ad Emilia paranoica, cavallo di battaglia dei CCCP, senza però avere
la medesima spinta rivoluzionaria. In conclusione, c’è da dire che Canali si
mette a nudo più che nel passato, come si evince dalla componente autobiografica
dei brani, decisamente prevalente rispetto ai consueti toni battaglieri e polemici. Ne consiglio l’acquisto, perché dentro c’è tanto mestiere nel
songwriting; d’altronde, pezzi come Messaggi a nessuno, Undici, Estaate e Fuochi
supplementari valgono da soli il prezzo del biglietto.
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta l'articolo!