C’è un’Italia segreta, che ancora resiste alle spinte dell’omologazione e della modernità; si trova ai margini del grand tour, nelle zone rurali o
montane poco battute dai flussi turistici. Castelli, chiese e borghi
abbandonati sono i silenti guardiani di questi luoghi, dove ancora risuonano
echi di ancestrali tradizioni quasi dimenticate. Tra le tante tradizioni dell’Italia
contadina, mi ha sempre incuriosito il culto legato a Sant’Elia, diffuso anche
nel Cilento, che ho conosciuto grazie ai racconti di mia nonna.
Il culto del profeta Elia è antichissimo, legato al mondo agricolo e a
riti propiziatori che affondano le radici nel paganesimo. Elia è colui che
protegge da fulmini e temporali, ma soprattutto è il santo da invocare nei
periodi di siccità per far discendere la pioggia sui campi. Innumerevoli sono le
cappelle rurali a lui dedicate lungo le strade di campagna dello Stivale.
Durante le stagioni aride i contadini si rivolgevano ad Elia in attesa della
salvifica pioggia, angustiati per la mancanza d’acqua che seccava le zolle. In
molti paesi del Meridione era usanza portare in processione la statua del
Santo, affinché invitasse il cielo ad elargire il desiderato temporale. E non
di rado la statua veniva lasciata fuori dalla chiesa per più notti di seguito,
nella speranza che il contatto con l’aria aperta favorisse il miracolo.
Voglio parlarvi proprio di una di queste cappelle campestri, che si
trova nel Cilento, precisamente tra i comuni di Prignano e Torchiara, nella
zona detta “Poglisi” o “Puglisi” per la presenza di un antico abitato oggi scomparso. La chiesetta di Sant’Elia è raggiungibile seguendo la strada
asfaltata che parte dal retro del cimitero di Prignano. La stradina costeggia
qualche abitazione e poi si inoltra tra campi e macchia mediterranea,
scendendo nel vallone. Dopo aver percorso all’incirca un chilometro, bisogna
imboccare un viottolo sterrato sulla sinistra. Si scende per una strada bianca,
fino ad arrivare alla cappella. È un edificio modesto, dalla facciata semplice
e intonacata, con una piccola campana sul tetto per richiamare i fedeli
alla preghiera. Un luogo ameno, adatto ad eremiti e viaggiatori di
passaggio. A differenza di molti altri posti simili, la porta è aperta. L’interno
è semplice, come si conviene alla vita agreste. Lo spazio è occupato quasi
interamente da una fila di banchi grezzi e vetusti, che attendono un’improbabile
assemblea. In fondo, in una nicchia sopra l’altare, è la statua del santo. Elia
guarda in alto e punta l’indice destro verso il cielo; è questo il particolare
che rivela la magia del luogo e il forte valore simbolico. In un’epoca neppure
tanto lontana, quando pioggia o siccità potevano significare vita o morte per
un’intera comunità, era ad Elia che i contadini del Cilento si rivolgevano,
nella speranza che anche da una chiesetta in mezzo ai campi potesse
scaturire il miracolo.
Luoghi come questo andrebbero preservati. Fanno parte di un mondo minimo, ormai scomparso, da cui la cultura nazionale e il senso di identità di un
Paese non possono prescindere.
L'interno della cappella di Sant'Elia nelle campagne di Torchiara (Sa)
Un particolare della facciata
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