Di libri sul Brigantaggio ne sono stati
scritti molti, secondo le prospettive più disparate. Alla letteratura
agiografica dei primi anni dopo l'Unità, tendente a dare un'immagine eroica e
senza macchia del Risorgimento, hanno fatto seguito una serie di volumi più
aderenti alla realtà dei fatti, attenti alla ricostruzione delle vicende per
come sono state, senza edulcorazioni ideologiche. Ha poi avuto un certo riscontro
la corrente revisionista di stampo meridionalista, se non addirittura
neoborbonico, che sostiene la tesi – in parte condivisibile, a parere
dello scrivente – secondo cui l'unificazione del Paese sarebbe avvenuta ad
esclusivo danno del Sud, trattato al pari di una colonia. Indipendentemente dai
punti di vista contrapposti, non bisogna tuttavia dimenticare che la società meridionale, già prima
dell’Unità, era arretrata, stritolata da una borghesia miope e priva di slanci,
da una burocrazia inefficace e corrotta, con larghi strati della popolazione
che boccheggiavano appena al di sopra del limite della sopravvivenza. Mali
oscuri, mali antichi, mai del tutto superati. Si dovrebbe partire da
questi dati per costruire finalmente un “Meridionalismo intelligente”, slegato
da prese di posizione aprioristiche di stampo “leghista”, capace di leggere
oltre i dati statistici, in grado di affrontare un discorso più complesso e avvincente.
Il saggio di Enzo Ciconte, La grande
mattanza, uscito nel 2018 per i tipi degli Editori Laterza, intraprende proprio questa terza strada. L'Autore studia il fenomeno del Brigantaggio senza
prendere le parti di uno dei contendenti, mantenendo una stretta aderenza ai
fatti. La sua è una prospettiva de-ideologizzata, che lascia al lettore ampia
libertà di analisi. Ciconte segue la scia del sangue; già il titolo è in tal
senso una chiara lettera d'intenti. La lotta contro il Brigantaggio è
raccontata senza nulla tacere degli episodi più crudi: le fucilazioni sommarie,
la decollazione dei nemici, l'esposizione dei corpi mutilati come monito, le
torture, gli eccidi di massa come quelli tristemente celebri di Pontelandolfo e
Casalduni.
Al di là del racconto postunitario, La grande
mattanza è prevalentemente un'indagine retrospettiva. È la storia della
repressione perpetrata in Italia contro banditi e briganti dal Cinquecento al
1870. Come efficacemente riassunto nella quarta di copertina, è «il racconto di tre secoli di
violenze efferate compiute soprattutto nel Meridione». Il saggio può infatti
essere diviso in due parti. Nella prima, vengono analizzati i primordi del
fenomeno del banditismo, non solo al Sud, arrivando fino alle repressioni
adottate dagli Stati preunitari. Nella seconda parte, più corposa, sono trattati gli
eventi successivi al 1860. Grazie al confronto tra epoche diverse, l'Autore
mette in evidenza le costanti del fenomeno, per quanto concerne cause e rimedi. È allora sorprendente scoprire che l'origine del banditismo è sempre la
medesima in tutte le epoche: le rivendicazioni rurali dovute alla mancata
distribuzione delle terre. Ugualmente sorprendente è scoprire le costanti
dei meccanismi repressivi: stragi, processi sommari, corruzione, amnistie,
tradimenti, uso indiscriminato del bastone o della carota. Sempre così, dagli
Aragonesi ai Savoia, passando per i Borbone e Gioacchino Murat.
A mio avviso è possibile muovere due elogi e una
critica al saggio di Ciconte. Il primo punto di forza è rappresentato
dall'analisi degli aspetti giuridici; molto interessanti sono infatti le pagine
in cui l'Autore concentra la sua attenzione sull'illegalità dell'operato dei
militari piemontesi nel Sud Italia. Ciconte spiega esaurientemente la difformità
delle procedure attuate rispetto alle norme vigenti e allo Statuto Albertino,
nonché il pervicace contrasto tra magistratura ed esercito, la prima garantista
e il secondo spietato e illiberale. Per approfondire gli aspetti giuridici,
Ciconte fa ampio uso di stralci di lettere e memoriali dell'epoca; la
trascrizione e il successivo commento di queste fonti è il secondo punto di
forza del libro. D'altro canto, però, alcune parti del saggio soffrono di una
carenza di approfondimento, in quanto si limitano a snocciolare una serie
impressionante di dati, nomi e vicende, tanto che spesso ho avuto l'impressione
di smarrirmi nella lettura, perdendo il filo del discorso complessivo.
Il libro può essere apprezzato anche da quanti
hanno già letto tutto (o quasi) sul Brigantaggio, specialmente per l'excursus
storico sulle origini del fenomeno, dal XVI secolo in poi. Quanti invece hanno
conosciuto superficialmente tali vicende solo dai libri di scuola, dovrebbero leggerlo,
per scoprire che la cosiddetta lotta al Brigantaggio è stata in verità una
pagina infamante della storia italiana, una vera e propria guerra civile, un
massacro in parte ingiustificato, mascherato dietro l'apparenza della ragion di
Stato. Una vicenda esemplare, che purtroppo non costituirà un unicum nella
nostra storia unitaria.
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