É storia risaputa che
il nome "New Order" fu scelto a tavolino ben prima della morte di Ian Curtis,
quando i quattro Joy Division giurarono eterna fedeltà alla formazione
originaria. Il suicidio del cantante confermò l’intendimento, e già un anno
dopo, nel 1981, uscì il primo album col nuovo marchio.
La scelta del nome
chiarisce un punto decisivo: i New Order non sono i Joy Division senza Ian
Curtis, come pure qualcuno continua malignamente a insinuare. Sono una realtà
diversa e originale, anzi volutamente svincolata da quel che era stato; ogni
paragone col passato, oltre ad essere fuorviante, non avrebbe senso. Se infatti
il primo LP, Movement (1981), ancora manteneva legami con le atmosfere
dark-wave dei JD, il successivo Power, corruption & lies segna la strada
maestra, tracciando il solco che verrà percorso negli anni a seguire. Critica e
appassionati si dividono su quale sia il capolavoro dei New Order, tra
Movement, Power, corruption & lies (1983) e Low-life (1985). Se il primo
appare troppo derivativo, mentre il terzo patisce una registrazione balorda, è
forse proprio il secondo disco a meritare il posto più alto del podio.
In copertina una
riproduzione del dipinto Un cesto di rose del pittore francese Fantin-Latour,
idea del grafico Peter Saville, che mantiene il profilo minimale voluto dal
gruppo: nessun libretto coi testi, niente foto, i titoli dei brani stampati
solo sull'etichetta del vinile. Senza orpelli di sorta, la musica è al centro
del progetto.
Apre le danze Age of
consent, gioiello synth-pop che fa venire voglia di ballare. In primo piano le
percussioni ossessive di Stephen Morris, preciso e robotico come una drum
machine. La sezione ritmica si esalta grazie all'apporto del basso di Hooky, a
costruire il tappeto sonoro su cui si innestano gli intrecci di chitarre e
sintetizzatori. Echi spettrali di synth caratterizzano il morbido incedere
della successiva We all stand. Il ritmo si alza nuovamente con The village, una
perfetta gemma d'impronta dance arricchita da intermezzi vocali in cui Sumner
non fa il Curtis, ma definisce le coordinate di un modo personale di cantare.
Ancora le tastiere in primo piano in Your silent face, altro vertice del
disco impreziosito dalle soffici linee del basso. La
conclusione è affidata a Leave me alone, che inizia con i memorabili versi «On
a thousand islands in the sea / I see a thousand people just like me, / a hundred
unions in the snow, / I watch them walking, falling in a row». É un pezzo circolare e ipnotico, che,
senza temere di cadere nella banalità più trita, può ben dirsi meraviglioso.
Forse più degli altri LP citati, Power corruption & lies è un disco compiuto e uniforme, sebbene
caratterizzato da continui cambi di ritmo. Gli otto brani miscelano
sapientemente atmosfere cupe con intermezzi danzerecci squisitamente eighties.
Con questo lavoro i New Order prendono per mano l'ascoltatore e lo accompagnano
in orbita, verso mondi lontani slegati dalle regole che conosciamo, in cui
aleggia una tiepida malinconia, ma rimane sempre la speranza di risorgere. Sarà merito dei sintetizzatori, o forse dello spettro di Ian Curtis.
Sarà merito di Morris, Sumner, Hook e Gillian, che hanno dimostrato di saperci
fare nonostante molti scommettessero il contrario.
La copertina di Power, corruption & lies (1983)
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