Filippo Patella e i cento preti
ribelli del Cilento, di Clodomiro Tarsia, è un libro destinato principalmente a due
categorie di lettori: i tuttologi del Risorgimento e gli appassionati di storia
cilentana. Solo questi, e in particolare la seconda categoria, possono avere
lo spirito giusto per addentrarsi nella miriade di vicende e cronache
raccontate con dovizia di particolari dal bravo giornalista, già nella
redazione del Mattino.
La pubblicazione, datata 2011, è stata curata
dal Centro di Promozione Culturale del Cilento, in occasione dei festeggiamenti
organizzati dal Comune di Agropoli per i 150 anni dall'Unità d'Italia. Di
Agropoli era Filippo Patella, a cui il libro è intitolato; già presbitero,
smise l'abito talare e fu uno dei Mille partiti da Quarto alla volta della
Sicilia con Garibaldi. L'autore tratteggia gli eventi principali della vita
dell'illustre agropolese, dal seminario di Novi all'impegno politico, fino agli
ultimi giorni. Eppure la parte più interessante del saggio è un'altra, come si
evince dal titolo. Il libro infatti racconta le sconosciute
vicende dei “cento preti ribelli del Cilento”, ovvero i frati e i sacerdoti che
si opposero alla monarchia borbonica dalla Repubblica Napoletana al 1861,
passando per i moti cilentani degli anni 1820-21 e 1848.
Due sono gli aspetti che mi hanno colpito
leggendo il breve saggio. Il primo è certamente l'aver scoperto l'esistenza di
un clero liberale, ostile ai Borbone, con la parola, l'esempio e finanche
l'estremo sacrificio. La storiografia tradizionale ci ha sempre descritto un
clero reazionario e retrivo, filoborbonico perché legato ad antichi privilegi
negati dai Savoia. Tarsia ha avuto il merito di aprire uno scrigno segreto, da
cui emergono nomi e storie di preti combattivi, repubblicani e mazziniani o
anche semplici amanti della libertà, che hanno partecipato con i sermoni e le
armi alle rivolte che infiammarono il Cilento negli anni precedenti l'Unità,
pagando anche con i ferri e la morte.
Il secondo pregio dell'opera sta nella
capacità dell'autore di ricostruire con pochi cenni il clima socio-politico
dell'epoca, così fecondo persino nel periferico Cilento, definito con sprezzo
“la terra dei tristi”. Leggendo il saggio scopriamo un territorio ricco di
fermenti emotivi e politici, popolato di sette segrete, pieno di cospiratori.
Un popolo ribelle a cui mancò solo un leader carismatico, come precisa Tarsia
con una felice intuizione.
Un plauso infine allo stile, che è asciutto e
sobrio, come si conviene ad un libro di storia. Tarsia ha scritto un'opera
sul Risorgimento che non è imbevuta di sterile retorica risorgimentale; anzi, descrive le vicende con il giusto distacco del cronista. Pur emergendo tra le
pagine una certa simpatia verso Patella e gli altri preti ribelli, Tarsia non
cade nella facile equazione “Borbone = Male assoluto”, peraltro smentita dalla
storiografia più recente, non solo di stampo revisionista.
È dunque un saggio interessante, anche se di
nicchia, peraltro corredato da un valido apparato fotografico.
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta l'articolo!