L'abbazia di San Galgano, in Toscana,
è universalmente nota per avere il cielo come volta, in quanto, dopo il crollo
del tetto, sono rimaste in piedi soltanto le mura perimetrali. La peculiare
situazione di rovina consente tuttavia di ammirare e studiare nei minimi dettagli
la struttura architettonica. Un edificio simile, anche se poco noto, si trova
nel comune di Sessa Cilento, a valle della frazione di San Mango, nell'area geografica
denominata “Cilento antico” o “Alto Cilento”, comprendente i casali sorti alle
pendici del monte Stella e attraversati dal corso del fiume Alento. Si tratta
dei ruderi della Chiesa di Santa Maria degli Eremiti, che nel nome ricorda gli
anacoreti che la abitarono, alla ricerca di spiritualità e silenzio lontano dal
consorzio umano. Come detto, si trova fuori l'abitato di San Mango, in uno
spiazzo denominato Largo degli Abati Cavensi, a memoria della secolare
giurisdizione che i monaci della Badia di Cava ebbero su questo luogo
suggestivo.
Un benemerito cartello antistante le rovine consente agli sparuti
visitatori di conoscere la storia dell'edificio. Apprendiamo che la chiesa
viene citata per la prima volta in un documento del 1329, anche se si ipotizza
un'origine più antica. Dal resoconto di una visita pastorale del 1505 sappiamo che era composta da una navata centrale con l'altare maggiore e da
cappelle laterali minori, dedicate ai santi. Una serie di iscrizioni murate indicano
che la fabbrica originaria è stata ampliata nel tempo, fino a raggiungere
dimensioni considerevoli, testimoniate dalle imponenti rovine. Per oltre
quattro secoli fu parrocchia per le comunità di San Mango, Castagneta e Santa
Lucia, per essere infine abbandonata nell'Ottocento perché pericolante. Dopo un
lungo periodo di oblio è stata oggetto di una meritoria opera di recupero e di
consolidamento, che ci consente di ammirarla com'è oggi.
Troneggia intatto il
campanile, costruito negli anni 1543-1547 e integralmente recuperato. Si
caratterizza perché è separato dal corpo principale della chiesa, peculiarità
che si ritrova anche nella vicina cappella cimiteriale di Santa Maria delle
Valletelle. Sul perché di questa scelta anomala è possibile fare una congettura,
ipotizzando che questi campanili avessero anche il ruolo di torri di
avvistamento, o che siano stati riutilizzati in funzione sacra dopo aver
prestato una funzione difensiva. Il resto sono ruderi, che lasciano ampio
spazio all'immaginazione, ma danno un'idea sufficientemente definita di come
doveva essere l'eremo. Rimangono in piedi alcuni muri perimetrali, le nicchie
che ospitavano le statue, parte dell'abside, gli archi che separavano il
transetto, le finestre strette come feritoie, le scale che conducevano alla
cripta, i basamenti delle colonne. Il tutto è messo in sicurezza e liberamente
fruibile dal pubblico, prestando comunque un minimo di attenzione a dove si
mettono i piedi.
Ovvio che il paragone con il sito di San Galgano ha un valore
puramente indicativo, né deve essere preso alla lettera. L'abbazia toscana è
universalmente nota e meglio conservata, con le mura perimetrali, l'abside e la
facciata praticamente intatti. Tuttavia, pur con le debite cautele, il paragone
non è del tutto peregrino, né azzardato: le rovine di Santa Maria degli Eremiti
conservano infatti il medesimo fascino della decadenza, il segno tangibile che
le opere e l'ingegno umano sono destinati a soccombere di fronte
all'ineluttabile scorrere del tempo.
Ringrazio Irene Nigro per le fotografie,
che lascio al libero utilizzo, purché ne venga citata la provenienza da questo
blog.
Una visione d'insieme del sito di Santa Maria degli Eremiti
I ruderi del fabbricato
Il campanile di Santa Maria degli Eremiti
Il campanile della vicina chiesa di Santa Maria delle Valletelle
Ruderi della navata centrale
Particolare del transetto
Il basamento di una colonna
Particolare dell'abside
L'accesso alla cripta
Ruderi del transetto
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