Roma,
primi anni Sessanta. In un avito palazzo del centro storico vive il
sessantacinquenne principe Annibale di Roviano (Eduardo De Filippo), erede di
un'antichissima stirpe che annovera tra le sue fila notabili e cardinali. Nel
palazzo è persino conservata una “sedia papale”, a ricordo delle passate visite
dei pontefici. Don Annibale però non se la passa bene: pur mantenendo
ostinatamente il suo orgoglio principesco, possiede pochissime sostanze, appena
sufficienti per pagare un portiere tuttofare e per il quotidiano pasto al ristorante.
Il Paese si sta trasformando, sono gli anni del boom economico; di pari passo
con il declino delle famiglie nobiliari c'è la rapida ascesa di
un'imprenditoria moderna, scaltra, disposta a tutto pur di fare quattrini. Il
decadente palazzo dei Roviano, posto com'è al centro di Roma, diventa
l'obiettivo di immobiliaristi senza scrupoli, che vorrebbero raderlo al suolo
per costruire un supermercato con annesso garage coperto. Don Annibale non è
disposto a cedere alle sirene del progresso e si rifiuta di vendere il palazzo,
nonostante le generose offerte. La sua ostinazione ne accresce la fama di uomo
strampalato, già consolidata per via dell'abitudine di parlare da solo, o
meglio, con invisibili presenze che lui chiama “fantasmi”.
Nonostante lo scetticismo
che lo circonda, don Annibale ha ragione. Egli non è solo, perché nel palazzo
si aggirano gli spiriti di quattro suoi antenati morti in modo violento, che
per questo motivo sono destinati a vagare in eterno negli stessi luoghi in cui
hanno vissuto, senza poter raggiungere la pace eterna. Sono il fratello Poldino
(morto da bambino), Fra Bartolomeo (Tino Buazzelli), Reginaldo (Marcello
Mastroianni) e l'ingenua Flora (Sandra Milo). Nessuno li può vedere, ma i
quattro aleggiano ancora nel mondo dei vivi, potendo finanche intervenire nelle
vicende umane, sia pure in modo limitato. Sono fantasmi buoni, numi tutelari
della casa, che hanno mantenuto i (tanti) vizi e le (poche) virtù di quando
erano in vita. La loro placida esistenza post mortem, che da secoli corre lungo
i soliti binari, viene però stravolta da un avvenimento imprevisto, che ne mette
a rischio la permanenza nel prestigioso immobile. Pur di non essere “sfrattati”
dalla secolare dimora, i quattro sono costretti a intervenire nel mondo
dei vivi, con l'aiuto di un abile pittore, anch'egli un fantasma, interpretato
da Vittorio Gassman.
Fantasmi a Roma (1961), per la regia di Antonio
Pietrangeli, è prima di tutto una commedia delicata e garbata, con molte gag e
battute divertenti. La sceneggiatura, oltre che dallo stesso Pietrangeli, è firmata
da Ennio Flaiano ed Ettore Scola. A contribuire alla riuscita del film è
soprattutto il cast stellare: Eduardo caratterizza don Annibale di una profonda
e ironica umanità, Mastroianni interpreta tre personaggi con istrionica
maestria, Buazzelli e la Milo sono eccellenti comprimari.
L'assenza di effetti
speciali non rende meno credibile la storia, che anzi è sviluppata egregiamente
pur nella povertà dei mezzi tecnici. I fantasmi sono resi con un espediente
cromatico, una patina azzurrina che ne ricopre i volti e le vesti. È questa semplice differenza di tonalità, che come
detto non necessita di effetti speciali, a segnare il distacco tra la vita e la
morte. Si tratta di una soluzione semplice, forse persino pioneristica e
artigianale, ma di grande efficacia. Il film rappresenta dunque il dualismo
morte/vita senza esasperarlo, con toni leggeri: i morti coabitano con i vivi e
sanno persino intervenire nelle vicende umane, orientandole verso il bene. Un
messaggio se si vuole pacificatorio, o comunque rassicurante. Sarebbe però
riduttivo classificare la pellicola come una commediola spensierata, senza
approfondirne i risvolti di feroce critica sociale e dei costumi. Fantasmi a
Roma è infatti un'arguta analisi dell'Italia del boom economico, sia pure
mediata attraverso la lente del racconto fantastico. In primis, il film di
Pietrangeli lancia i suoi strali polemici contro la cementificazione selvaggia,
che tanti danni ha fatto al Bel Paese proprio a partire dagli anni Cinquanta del
Novecento. Emblematica, a tal proposito, è la figura dell'ingegnere che vuole
acquistare il palazzo dei Roviano per abbatterlo e costruirci un supermercato:
i suoi idoli sono il progresso e il profitto, e ciò che li ostacola deve essere
abbattuto a colpi di ruspa. Nel film si contrappongono dunque i due volti
antitetici di Roma: il centro storico e la periferia, la culla del glorioso
passato e l'emblema di un presente impoetico e scialbo. E ancora, la pellicola è
un atto di accusa contro la burocrazia tentacolare, la corruzione, il dolo
della classe dirigente di voler svendere le bellezze del Paese agli speculatori
senza scrupoli.
In conclusione, Fantasmi a Roma è un film che si presta a più
letture: è adatto per le famiglie, ma al tempo stesso fa riflettere. La sua
forza è nella semplicità della trama e nella straordinaria interpretazione di
alcuni tra i più grandi attori del Novecento.
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