Già il titolo dell'ultimo disco di Giorgio Canali &
Rossofuoco richiama il 2020, anno di merda, per usare una parola cara all'ex
chitarrista del Consorzio Suonatori Indipendenti. E in effetti, Venti (La
Tempesta Dischi) è il suono e il linguaggio del nostro tempo, per quanto
sgradevoli possano essere questo tempo e questo linguaggio. Venti è nato durante
il lungo confinamento di marzo-maggio, quando i Rossofuoco hanno scambiato a
distanza spunti e idee. È un album figlio del presente, concepito in smart
working e non nell'immediatezza dello studio di registrazione. Come
ha rilevato lo stesso Canali, è venuto fuori un disco doppio, «fra chitarre registrate da Stewie che era
bloccato a Miami, batterie sarde riprese da Luca in studio e anche nell'orto,
bassi bolognesi e parole e chitarre nate a Bassano del Grappa dove ho passato
tutto il periodo di segregazione». Si potrebbe dire che è sviluppato sopra un
paradosso, nel senso che si sente l'unità di fondo e il lavoro d'equipe,
sebbene i musicisti non si siano mai ritrovati insieme a suonarlo. La
formazione è quella consolidata: Giorgio Canali (voce e chitarra), Luca
Martelli (batteria), Marco Greco (basso), Steve Dal Col (chitarra) e Andrea
Ruggiero (violino).
Il disco si apre con Eravamo noi, una tra le più
intense canzoni scritte da Canali, da collocare in un'ipotetica top ten. È una
ballata malinconica e amara, che in poco più di quattro minuti ripercorre
magistralmente gli ultimi cinquant'anni di storia italiana, tra immagini forti
e citazioni di cantautori dimenticati («eravamo noi a fare bella la luna»). La
seconda traccia, Morire perché, è profondamente “canaliana”, come intuisce al
primo ascolto chiunque conosca la discografia del chitarrista di Predappio. Si
potrebbe dire, con le dovute differenze, che è una canzone a metà strada tra le
dolorose divagazioni di Precipito e le accelerazioni di Ci sarà, per citare due
classici del passato. Nell'aria, impreziosita dall'armonica, è una disincantata
descrizione dei nostri giorni, del presente stravolto dalla pandemia e dalle
sue conseguenze sociali, economiche e psicologiche. Canali non nasconde il suo
punto di vista critico, come si evince in particolare dai seguenti versi: «nell'aria
l'odore della paura / cancella il profumo dei fiori / e resta attaccato ai
vestiti / una vita intera. / E si sa che a tarda sera / le storie dei mostri in
tivù / spaventano di più». Si può discutere a lungo sulle sue posizioni,
su quanto si avvicinino a certe visioni complottiste; difficile però negare la
potenza, anche e soprattutto visionaria, di quando canta che «l'ultimo
alito di disobbedienza civile / è sepolto con le museruole / in un unico grande
funerale». La
verve polemica prosegue con la tiratissima Inutile e irrilevante, che pure è
attraversata da una sottile ironia; difficile non dare ragione a Canali quando
ci avvisa che il «nemico un po' più grande» che
abbiamo di fronte, rende per l'appunto inutile e irrilevante ogni altro
mostro del passato, dal terrorista islamico al black bloc.
Il disco prosegue
con Acomepidì, una ballata semplice e d'effetto che a qualcuno ricorderà La solita
tempesta, anche se manca la calda voce di Angela Baraldi; di certo, qualora
l'avesse scritta un autore più in vista, oggi sarebbe in classifica. Si
alternano poi brani combat-rock tra Bennato, Finardi e i Clash (Raptus e
Circondati) e pezzi più malinconici e riflessivi (Meteo in cinque quarti e
Vodka per lo spirito santo). D'altronde, Canali possiede una squisita vena
poetica, che spesso nasconde dietro la maschera del polemista. Si ascolti in
proposito la lenta ballata Requiem per i gatti neri, che in pochi minuti ci
regala alcune immagini di devastante potenza: «e i turisti americani, / una
birra in ogni mano / turbano il sonno dei poeti morti / con il loro accento
osceno. / E la sirena dei pompieri / è un requiem per i gatti neri / che si
portano sfortuna / e attraversano la strada / distratti dalla luna». Senza
voler cadere nella trappola della recensione traccia per traccia, meritano però
di essere citate almeno altre tre perle: Canzone sdrucciola, Come quando non
piove più e Cartoline nere.
Venti è la conferma delle doti di scrittura di
Giorgio Canali, che tira fuori dal cilindro un album doppio con cinque o sei pezzi
ai vertici della sua produzione. Il punto di forza è nella lucida capacità di
raccontare il presente e il 2020 annus horribilis, senza abbandonare il riferimento della scuola cantautoriale italiana (e non solo); a riprova, il
disco è infarcito di citazioni, da Lolli a Bennato, passando per Rino Gaetano,
Finardi, Vasco Brondi e persino Bauhaus e Noir Désir. Inutile
nascondere che non tutte le canzoni sono sullo stesso livello; a mio avviso ci
sono episodi trascurabili, che danno l'impressione di essere un riempitivo (Dodici,
Viene avanti fischiando, Raptus). Ritengo poi che la registrazione a distanza
abbia un tantino penalizzato il suono; sarebbe interessante ascoltare le stesse
canzoni suonate dal vivo, o comunque a studio in presa diretta, per scoprire
particolari che altrimenti rischiano di passare sottotono. Di sicuro, Giorgio
Canali e i Rossofuoco si confermano una delle realtà più solide del rock
nostrano, tra i primi dieci per interpretazione della realtà e capacità di
scrittura.
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