30 maggio 2021

"Il balordo" di Piero Chiara: il dolce veleno del lasciarsi vivere

Sono tante le perle nascoste della letteratura italiana del Novecento, una moltitudine di opere che non hanno goduto della fama di altre, pur meritando di entrare a pieno titolo nel novero dei classici. Il discorso calza a pennello per Il balordo, romanzo di Piero Chiara pubblicato nel 1967. Oggi è quasi dimenticato, nonostante un'invidiabile freschezza di scrittura e la sottile ironia che l'attraversa da cima a fondo. Parlare di un capolavoro forse è troppo, ma di sicuro può essere collocato tra i grandi romanzi del Novecento per la profonda capacità d'analisi di un'epoca storica e di un Paese, l'Italia, a cavallo tra la fine del regime e i primi sussulti della rinata democrazia.
Il romanzo è ambientato negli anni del Fascismo, in una cittadina sulla sponda di un lago, facilmente identificabile con Luino. Qui vive Anselmo Bordigoni, detto Bordìga, maestro di scuola e talentuoso musicista di fama locale. Per una serie incredibile di coincidenze e fraintendimenti, il Bordigoni viene accusato di tenere condotte contrarie alla morale; sono maldicenze, ma lo porteranno prima al licenziamento e poi all'applicazione della misura di polizia del confino triennale. Le autorità di pubblica sicurezza lo destinano ad Altavilla del Cilento – l'attuale Altavilla Silentina –, dove l'oscuro maestro è riverito come un grande musicista e vive la più feconda e serena stagione della sua vita. Per un'ulteriore serie di rocambolesche circostanze e fraintendimenti, il Bordìga viene arruolato come maestro di banda dagli Alleati sbarcati a Salerno, per fare infine ritorno al suo paese natale in una nuova imprevedibile veste. 
Il romanzo si regge sulla maestosa figura di Anselmo Bordigoni, archetipo dell'uomo che si lascia vivere, senza farsi domande né tentare di piegare la sorte al suo volere. Anzi, egli si adegua a capo chino ai mille rovesci della fortuna e li accetta di buon grado, con un atteggiamento a metà strada tra l'imperturbabilità del saggio e l'incoscienza del bruto. È l'antitesi dell'homo faber, colui che costruisce il proprio destino col sudore della fronte e il duro impegno; al Bordigoni, invece, per avere successo è sufficiente essere se stesso e attendere che qualcosa di imprevedibile accada. Basti pensare che le frasi da lui pronunziate si contano sulle dita di due mani, nonostante il libro si snodi in un arco di tempo che supera i due lustri. In questo egli è un “balordo”, un personaggio un po' tocco, strampalato, eppure portatore di una personalità così decisa che alla fine sarà la gloria a bussare alla sua porta, senza che egli l'abbia rincorsa. E non è un caso che egli trovi il suo habitat naturale ad Altavilla del Cilento, in quel Meridione quieto e operoso che accoglie gli artisti, specie se forestieri, considerandoli affetti da una divina follia. E se è vero che il Bordìga è il mattatore della storia, c'è tutto un contorno di personaggi minori, un pullulare di altri “balordi” che meriterebbero un romanzo a sé: cito solo il dentista spretato Maldifassi e il sinistro barbiere Duodenale. 
Il balordo è un romanzo che rimane impresso nella mente per tante ragioni. In primis, indimenticabile è la figura del protagonista, così eccentrica rispetto ai caratteri dominanti della letteratura del secolo scorso. Il classico personaggio novecentesco è un uomo tormentato e complesso, sconosciuto persino a se stesso, che rimugina sui casi della vita macerandosi nell'incapacità di trovarle un senso autentico e definito. Il Bordigoni, invece, attraversa i principali eventi del “secolo breve” con indolenza e passiva rassegnazione, guardandosi bene dall'addentrarsi in futili e faticose autoanalisi. E questa pacatezza d'animo è la chiave del suo successo; non a caso, ovunque lui metta mano, si compie un piccolo miracolo. In secondo luogo, da cilentano, non posso che ringraziare Piero Chiara per le belle pagine dedicate al popolo del Cilento. In questo romanzo di splendidi contrasti, il confino è quasi un paradiso, al punto che il Bordìga, sostentato dallo Stato e circondato da nuovi amici, ad Altavilla è felice e spensierato. Con ciò non voglio affatto dire che Chiara abbia voluto sminuire la drammatica e dolorosa esperienza del confino; semplicemente, il romanzo va letto attraverso la lente dell'ironia, senza addentrarsi in considerazioni politiche. Ad ogni buon conto, e questo è il terzo merito, Il balordo è un feroce atto d'accusa contro certa borghesia benpensante, che nasconde dietro gli scandali degli altri la propria grettezza e pochezza intellettuale. Una classe che, gettando fango sui più deboli, etichettati come balordi, cerca di elevarsi per contrasto, come un giudice tiranno che si illude di essere al di sopra delle parti.

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