12 giugno 2021

La retorica della ripartenza e il mondo che non si può fermare

La parola d'ordine di questi mesi è “ripartenza”. La si legge sui giornali, la ripetono in continuazione in televisione e alla radio. Soprattutto, se ne è impossessata la pubblicità. Sembra quasi che l'unico modo per reclamizzare un prodotto sia di presentarlo come uno strumento della ripartenza. Gli esempi si sprecano: dall'ennesimo suv al telefonino, passando per l'abbigliamento. La strategia dei pubblicitari è puntare sul desiderio diffuso di mettersi alle spalle un sofferto periodo di stasi forzata dovuta alla pandemia.È giunta l'ora di ripartire”: non si contano le volte in cui questo slogan è utilizzato, in tutte le possibili varianti. 
Indipendentemente da quella che è stata la percezione individuale, mi chiedo se uno stop di appena due mesi giustifichi questo martellamento. Due mesi perché, di fatto, tanto è durato il blocco vero, duro, senza compromessi. D'altronde, già da maggio dell'anno scorso si è affermata la parola d'ordine “ripartenza”, mai più abbandonata. Da un anno a questa parte ci sono state ulteriori limitazioni, anche pesanti, ma nessuna che possa giustificare l'assillante retorica della ripartenza, quasi peggiore della retorica del lockdown. La pandemia è una tragedia immane per il carico di sofferenza che ha portato su chi ne è stato direttamente colpito, mentre chi non ha subito lutti ha solo dovuto rinunciare a una parte delle proprie abitudini. Per questo non tollero la retorica della ripartenza, tutta incentrata sulla logica consumistica del “produci, consuma crepa”, di un sistema economico malato, che cresce intorno a se stesso e non tollera pause. Forse siamo abituati male se sentiamo la necessità di amplificare il bisogno della ripartenza, forse abbiamo dimenticato che fino a qualche lustro fa c'erano altri eventi globali, come le guerre, che davvero imponevano una lunga interruzione delle libertà civili, delle abitudini, dei contatti sociali
E chi si trincera dietro la nozione di libertà, spesso non sa di cosa parla. Il concetto è travisato da molti, che non avendo né la cultura né la pratica della libertà, finiscono col confonderla con l'assolutizzazione dell'individualismo. Perché se è vero che l'art. 2 della Costituzione riconosce i diritti inviolabili della persona, al tempo stesso impone ai cittadini i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, al cui adempimento siamo stati chiamati in questi mesi di sacrifici. La verità è che siamo stati abituati all'idea che il mondo non si possa fermare, che il benessere collettivo debba essere sacrificato all'aspirazione continua al progresso, allo sfruttamento indiscriminato delle risorse, alla realizzazione del profitto a ogni costo. Ecco perché quella che poteva essere un'occasione di una sosta ragionata è stata irrimediabilmente perduta. 
Ovviamente il mio discorso è parziale e superficiale, perché non tiene volutamente conto delle immense problematiche che le restrizioni hanno determinato in termini di perdita di posti di lavoro e chiusura di attività. Lungi da me minimizzarle, il mio discorso è un altro. Si diceva, agli albori di questa tragedia globale, che il virus ci avrebbe cambiati, che avrebbe mutato in modo irreversibile la nostra percezione del mondo e avrebbe persino ammansito i bisogni non essenziali legati a doppio filo alla folle velocità a cui gira la nostra economia, che avevano in qualche misura contribuito a diffondere in tempi brevissimi il morbo. Si diceva che fosse giunto il momento di ripensare i ritmi di vita, che non fosse più sostenibile una società iperconnessa, in cui è possibile fare colazione a Parigi e l'aperitivo a Tokio. Invece l'umanità ha rifiutato questa occasione, accecata dal mito della velocità. La lentezza, la sosta, la siesta, lo stare a casa, da desiderata sono diventati simboli negativi, additati come negazioni della libertà, violentati e spogliati di ogni connotazione positiva. Ma siamo così sicuri che la ripartenza a ritmo accelerato sia un nostro reale bisogno? O forse c'è qualcuno che subdolamente lo cavalca per perseguire i propri interessi?

Nessun commento:

Posta un commento

Commenta l'articolo!