Prima di diventare il maestro indiscusso del cinema
erotico italiano, Tinto Brass è stato un regista d'avanguardia, immerso nel
fermento culturale europeo ed americano e deciso a portarlo in Italia. E prima
ancora di scandalizzare il Belpaese con Caligola (1979), aveva esordito dietro
la macchina da presa con una pellicola fortemente ideologizzata e d'impegno
civile, Chi lavora è perduto (In capo al mondo), selezionata persino nella
prestigiosa lista dei “100 film italiani da salvare”.
Col cuore in gola, uscito nelle sale nel 1967, è forse
l'emblema della prima produzione che ho definito d'avanguardia o, se si vuole,
modernista. Il taglio di rottura rispetto alla cinematografia nazionale coeva è
innanzitutto nella scelta dell'ambientazione: Brass optò per Londra, sulla scia
di Blow-Up di Antonioni, non a caso citato sia direttamente che
figurativamente. A Londra vive Bernard, un giovane francese interpretato da un
tenebroso Jean-Louis Trintignant, che si guadagna da vivere come modello e
attore. In un locale notturno incontra la bellissima Jane (Ewa Aulin), ancora
giovane eppure già segnata da torbide vicende familiari e personali. La sera
stessa Jane scopre il cadavere del proprietario del night club, ucciso da uno
sconosciuto sicario; da quel momento strani personaggi iniziano a darle la
caccia. Affascinato dalla ragazza, Bernard si offre di aiutarla, finendo trascinato
in una serie di rocambolesche avventure, fino al drammatico finale.
Al di là di questi pochi cenni, la trama del
film è effettivamente debole, a tratti complicata da seguire per l'astrusità di
alcune circostanze. Col cuore in gola è un giallo anomalo, nel senso che il suo
punto di forza non è nella costruzione dell'intreccio, né nel disvelamento
dell'assassino, che a dire la verità non interessa più di tanto né allo
spettatore né agli stessi protagonisti. Il cuore pulsante della pellicola è
nella fotografia, nella cura maniacale dei dettagli su cui indugia la
telecamera, negli intensi primissimi piani, nella folle alternanza di colore e
bianco/nero. Chi conosce, sia pur parzialmente, la successiva produzione
erotica di Brass, noterà una serie di intuizioni che saranno portate alle
estreme conseguenze nei decenni successivi: le inquadrature degli specchi
(specie se rotondi), l'obiettivo che indugia sui buchi delle serrature,
l'ossessiva sovrapposizione di slogan e cartelloni pubblicitari, i primi piani
di comparse grottesche che sembrano prese a piene mani dalla commedia
dell'arte. Eppure in questa pellicola c'è qualcosa di più. Dovessi definirla
con un solo aggettivo, utilizzerei “psichedelica”. Col cuore in gola è un
caleidoscopio di colori, rumori e suoni che stimolano una percezione più
profonda. E questa componente “lisergica” è così dominante da far passare in
secondo piano la trama. La forma dunque prevale sulla sostanza, l'apparenza
ruba la scena al senso e alla stessa verosimiglianza degli eventi narrati.
Il
film è una summa delle forme espressive in voga nel periodo: musica, fumetto e
correnti artistiche. La colonna sonora passa dal beat alla fiorente scena
psichedelica, che proprio nel biennio 1967-1968 vedeva nascere i suoi tre
capolavori: Forever changes dei Love, Sgt. Pepper dei Beatles e S.F. Sorrow dei
Pretty Things. Il tema portante della colonna sonora è l'insinuante Love girl,
meravigliosa ballata del maestro Trovajoli cantata da Gianni Davoli, che non
avrebbe sfigurato in un LP dei Doors o dei Procol Harum. Decisiva è poi
l'influenza del fumetto, anche mutuato dalla pop art d'oltreoceano; non a caso
molte tavole della storyboard sono opera di Guido Crepax, e in una scena fa persino capolino l'inconfondibile volto di Valentina. Le scenografie
degli interni sono particolarmente curate, con muri tappezzati di poster,
tazebao, manifesti e stampe, che spesso riproducono scene a fumetti. Altra
fondamentale influenza è l'optical art, sia nella ricostruzione di alcune scene
d'interni (si pensi all'atelier del fotografo), che negli spericolati tagli e
inquadrature che creano un effetto straniante nel pubblico.
Due parole anche sugli straordinari protagonisti.
Trintignant sembra un alieno, con la sua allure seriosa, fumosa e decadente, del
tutto decontestualizzata rispetto all'atmosfera elettrica della Swinging
London. Eppure è perfetto nei panni del melanconico Bernard, a cui riesce a
dare profondità e realismo anche solo con uno sguardo o un impercettibile
movimento delle ciglia. L'attore francese fa di questa estraneità il punto di
forza della sua interpretazione. Ewa Aulin è semplicemente una dea, dolce e
maliziosa come una lolita. Dare un giudizio definitivo sulla pellicola è
un'operazione non priva di ostacoli. Si corre il rischio di attestarsi su
posizioni tranchant, tra chi bolla il film come un prodotto del suo tempo, per
giunta invecchiato male, e chi viceversa ne elogia la componente giocosamente
anarchica e le innovative soluzioni tecniche che sono una gioia per gli occhi.
Senza voler sembrare democristiani e salomonici, mai come in questo caso in
medio stat virtus: Col cuore in gola non è un classico, ma proprio questo ci
consente di gustarlo col giusto distacco, a distanza di oltre cinquant'anni
dalla sua uscita. Da riscoprire.
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