22 settembre 2021

La riconciliazione è una conquista: "La seconda volta"

«Colpirne uno per educarne cento. Dove sono i cento che avete educato colpendo me?» 

La spietata analisi di una parentesi drammatica della storia italiana del Novecento è racchiusa nelle poche parole pronunciate dal professor Alberto Sajevo sul finale de La seconda volta, film del 1995 per la regia di Mimmo Calopresti. Sajevo (Nanni Moretti) è un professore universitario di Torino, vittima nel 1985 di un attentato brigatista. Il professore si è salvato, sebbene da quel giorno terribile sia costretto a vivere con un proiettile conficcato nel cranio, che per un soffio non l'ha ucciso. Durante una pausa pranzo riconosce per caso Lisa Venturi, una brigatista che ha partecipato al suo attentato. Lisa, interpretata da una eccellente Valeria Bruni Tedeschi, sta scontando una condanna a trent'anni di reclusione col beneficio della semilibertà: di giorno lavora per reinserirsi nella società e di sera torna in carcere. Per Sajevo l'incontro con la donna diventa un'ossessione: la segue, tenta di mettersi in contatto con lei, adotta quasi una strategia da corteggiatore. Il suo obiettivo non è però la vendetta: egli vuole capire, indagare le ragioni di tanto odio, comprendere per quale motivo volevano ammazzarlo senza neppure conoscerlo. 
La seconda volta è un film importante, anche se oggi quasi dimenticato. Mimmo Calopresti, all'epoca quarantenne, era al suo esordio in un lungometraggio; fino ad allora il regista calabrese si era dedicato ai documentari con tematiche sociali. Sulla scia dell'impegno civile, optò per una storia dura e divisiva, senza il timore di toccare col bisturi un nervo scoperto. Scelse come protagonisti Nanni Moretti, perfetto nei panni dello schivo professor Sajevo, e Valeria Bruni Tedeschi, autrice di un'intensa interpretazione fatta soprattutto di parole sommesse, sguardi e gesti. Il film vinse numerosi premi, tra cui il Ciak d'oro e ben cinque David di Donatello, oltre alla nomination per la Palma d'oro a Cannes.
Calopresti mette in campo un uomo dolente, Alberto Sajevo, che non accetta di essere una vittima del caso, vuole indagare le ragioni del suo sacrificio. E allora legge i libri degli ex brigatisti, tenta di assumere un atteggiamento il più possibile distaccato e obiettivo. Quando però ha modo di parlare con la sua carnefice, si rende conto che nessun dialogo è possibile. Bolla come “cazzate” le idee degli ex terroristi, li accusa di aver contribuito a costruire un mondo peggiore di quello che avrebbero voluto combattere. La Venturi non si scusa, non reagisce alle provocazioni, si chiude in un impenetrabile mutismo. Il tocco di Calopresti è morbido e intimo, nonostante la delicatezza della materia. Le inquadrature indugiano sui volti dei protagonisti, accentuandone l'impressione di persone sole e irresolute, destinate a portare, per il resto della vita, il peso di croci diverse ma complementari. 
La seconda volta è un film coraggioso, lo era venticinque anni fa e lo è tuttora. Del terrorismo si è scritto tanto, le biblioteche sono piene di analisi storiche, politiche e sociologiche; anche gli ex terroristi hanno scritto saggi e articoli, presenziato a eventi e conferenze, generando inevitabili polemiche. La ferita è ancora da rimarginare, venticinque anni fa era addirittura fresca. Il film di Calopresti si addentrava appunto in questo terreno scivoloso, nella piena consapevolezza che nessuna risposta definitiva potesse essere data. Ecco allora la giustificazione del finale aperto, che è il punto di forza del film. Gli sceneggiatori avrebbero potuto optare per un consolante e irreale lieto fine, condito dalla retorica del perdono e della riconciliazione. E invece scelsero di lasciare aperta ogni strada. Ne La seconda volta non viene affermato apertamente che la riconciliazione sia un'utopia, ma che nessuna pacificazione è possibile se non si è disposti a fare impietosamente i conti col passato e con i propri errori. La giustificata rabbia di Alberto è speculare al parziale pentimento di Lisa: due esseri umani a metà, irrisolti, destinati forse un giorno a incontrarsi di nuovo.

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