«Gli avvenimenti e i personaggi di questo romanzo sono immaginari. Nella realtà esiste solo la Scala a San Potito, dove negli anni 1944-47 abitarono esseri umani.»
Questa l'annotazione che Luigi Incoronato
(1920-1967) inserì in calce al suo celebre romanzo Scala a San Potito, la cui prima edizione
risale al 1950. La Scala che dà il titolo all'opera si trova a Napoli: «quattro
o cinque rampe di gradini bassi di pietra scura», che nell'ultima fase del secondo
conflitto mondiale accolsero un numero considerevole di sfollati. In tanti
persero la casa sotto i bombardamenti alleati; chi non aveva parenti o altri
luoghi dove andare, fu costretto a cercare riparo alla meno peggio, sotto i
ponti, nelle tante gallerie che corrono sotto la città, in palazzi occupati. La
Scala a San Potito fu uno dei luoghi che offrirono riparo a numerose famiglie durante
la guerra e nei difficili anni successivi. Come è facile immaginare, alla Scala
si viveva in condizioni di degrado morale e materiale, in pericolosa promiscuità
negli angusti anditi sotto le rampe, dormendo distesi sui freddi e scomodi
pianerottoli. Era una situazione oltre lo stesso concetto di miseria, un
abbrutimento e un degrado cui erano costrette intere famiglie, anziani, donne e
bambini. Di giorno gli uomini si muovevano alla ricerca di un lavoro, lasciando
sempre qualcuno sui gradini a vigilare che altri disperati non usurpassero lo
spazio. Perché alla Scala anche questo poteva accadere, che al degrado si
aggiungesse lo squallore dei litigi per accaparrarsi un angolo coperto sopra un
umido pianerottolo. Di sera la Scala si animava di uomini vestiti di stracci, alcuni
adusi alla sempiterna povertà, altri immiseriti dalla guerra e dai
bombardamenti.
Luigi Incoronato fu il cantore di questa
umanità dispersa, delusa, senza voce né speranza. La parola “esseri umani”, utilizzata nell'annotazione, assume dunque un preciso significato politico, di
pungolo alle coscienze. Com'è possibile, sembra dire lo scrittore, che nella
civile Europa ci siano esseri umani costretti a vivere come bestie? Senza
questo indimenticabile romanzo, forse nessuno oggi ricorderebbe una delle
pagine più dolorose e amare della nostra storia recente.
Incoronato era napoletano solo d'adozione. Era
nato a Montreal nel 1920, ma nelle sue vene scorreva sangue meridionale: il
padre era originario di Ururi, in provincia di Campobasso. Militante comunista,
entrò nella Resistenza e fu membro del Comitato di liberazione nazionale di
Campobasso. Dopo la guerra si stabilì a Napoli, dove lavorò come insegnante e
giornalista, fino al suicidio nel 1967. Come redattore e fondatore della
rivista Le ragioni narrative, strinse una solida amicizia con altri
intellettuali dell'area partenopea, tra i quali vale la pena ricordare Pomilio,
Prisco, Rea e Compagnone.
Scala a San Potito è un vero e proprio caposaldo
della letteratura d'impegno civile del Novecento e si inserisce in quella
corrente meridionalistica che cercava di indagare le cause delle secolari
problematiche del Mezzogiorno e di proporre soluzioni per la sua gente. La
lotta per il riscatto delle genti del Sud diventa la spinta ideale e al
contempo il tormento dell'intellettuale, la cui scrittura si fa azione politica.
Incoronato, da giornalista qual era, avrebbe potuto scrivere un reportage da
pubblicare su un quotidiano nazionale; scelse invece la forma del romanzo,
utilizzando tuttavia un espediente narrativo. L'io narrante della vicenda è un
giornalista che ogni sera all'imbrunire si reca alla Scala a San Potito per far
conoscere all'opinione pubblica ciò che ivi accade. Col passare dei giorni, lo
sguardo inizialmente distaccato del giornalista diventa partecipe, l'analisi
sociologica cede il passo alla compassione ed egli tenta coi suoi poveri mezzi
di aiutare i miserabili della Scala. L'esito è tuttavia infausto e non potrebbe
essere diversamente: il crudo realismo vince, non c'è alcuna speranza per
un'umanità misera e diseredata. Cosa può fare allora l'intellettuale? La
risposta è amara: nulla. Non a caso l'ultimo racconto di Incoronato si intitolava proprio A che serve uno scrittore? L'intellettuale comunista impersonato dal
giornalista tenta di indagare le cause, di risvegliare le coscienze e persino
di aiutare, ma deve arrendersi di fronte all'evidenza dei fatti. Egli parla un
linguaggio diverso rispetto alla gente della Scala; la sua condizione di uomo
di cultura lo rende un alieno e neppure la sua ideologia politica può offrire
soluzioni che non siano un temporaneo palliativo. E persino quando resta senza
lavoro, gli abitanti della Scala non lo considerano uno di loro: egli sa
leggere, scrivere, ha amicizie influenti, prima o poi un lavoro lo troverà. Nel
romanzo di Incoronato si scontrano allora impegno civile e evidenza del reale,
spinte progressiste e drammatiche involuzioni. Alla fine, purtroppo, saranno
queste ultime ad avere il sopravvento. Pessimismo e disillusione sono i marchi
della poetica di Incoronato, che lo rendono diverso e critico rispetto ad altri
intellettuali con cui pure condivideva il medesimo sostrato ideologico.
Vorrei aggiungere una notazione sullo
stile. In Scala a San Potito prevalgono i dialoghi brevi, secchi, diretti. A
differenza di altre opere dello stesso genere, Incoronato non usò il
dialetto, quasi a voler attribuire al racconto una valenza universale,
perché i poveri della Scala napoletana sono il simbolo di tutti i derelitti
del mondo.
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