30 ottobre 2022

Jinx, il killer del tempo

Le Grandi Storie Bonelli è una nuova collana trimestrale da edicola che si propone di ripubblicare in unico volume alcuni classici moderni della casa editrice, esauriti o addirittura introvabili. I volumi, di oltre trecento pagine, sono arricchiti da esaustivi redazionali. Il prezzo è di quasi dieci euro cadauno, giustificato a mio avviso dalla consistente foliazione. I primi due albi sono dedicati a Zagor, il terzo a Tex, il quarto a Mister No. Il protagonista del numero attualmente in edicola è Martin Mystère, alle prese con uno dei suoi più temibili nemici: Mister Jinx. Il volume, intitolato per l'appunto Mister Jinx, ristampa due celebri storie. La prima è Tempo Zero, originariamente pubblicata nel 1986 sui numeri 47 e 48 della serie regolare, con soggetto e sceneggiatura di Castelli e disegni di Freghieri. Medesimi gli autori della seconda storia, Operazione Dorian Gray, apparsa in origine sugli albi 63 e 64 del 1987.
Jinx è il cattivo per eccellenza: mefistofelico, geniale, cinico, spietato, dotato di un'astuzia non comune. Ha l'aspetto e le movenze del gentiluomo e assomiglia vagamente all'attore Burgess Meredith. Il suo gesto tipico consiste nell'accendere il sigaro con lo schiocco delle dita, trucco ereditato dal suo vecchio mestiere di illusionista, o forse indice di una natura diabolica. È il grande antagonista di Martin Mystère, come Mefisto per Tex o Hellingen per Zagor. A differenza dei "cattivi" tradizionali del fumetto e del cinema, Jinx appare come un imprenditore che offre un servizio a facoltosi clienti. L'originalità del personaggio sta nel presentarsi come una sorta di benefattore al servizio dell'umanità. I suoi clienti soffrono l'ossessione del tempo, vuoi perché hanno grandi responsabilità e pochissimo tempo libero, oppure perché sono vicini alla fine e vorrebbero riconquistare la gioventù perduta. Jinx ha una soluzione miracolosa a questi problemi all'apparenza insormontabili. In Tempo Zero lo vediamo alla guida di una società che propone ai suoi facoltosi clienti un'occasione allettante: grazie a uno speciale liquido iniettabile che accelera il metabolismo, potranno vivere ventiquattro ore come se fossero un mese intero. Quale soluzione migliore per il manager fuso dal lavoro, oppure per chi ha un progetto da terminare in tempi brevissimi? A Tempo Zero, una specie di resort di lusso, potranno trascorrere un mese intero mentre il mondo "di fuori" avanzerà di sole ventiquattro ore. Unica piccola controindicazione: un'overdose di siero determina la morte per autocombustione. In Operazione Dorian Gray, invece, Jinx mette in atto un progetto degno della mente di Wilde, dando ai suoi anziani clienti la possibilità di appropriarsi di un corpo giovane e forte, pur mantenendo i ricordi e l'esperienza di un ottuagenario. Anche in questo caso c'è un solo piccolo problema: Jinx non ha scrupoli a far sparire clochard, alcolizzati o individui ai margini, al fine di dare un nuovo corpo ai propri clienti. Sarà Martin Mystère a tentare di intralciare i piani del perfido personaggio.
La ristampa viene proposta in un momento importante della storia editoriale della testata, che da poco ha festeggiato i quarant'anni ed è prossima a tagliare il traguardo del numero 400. Se dunque è un'occasione per invogliare chi ancora non conosce il Detective dell'impossibile, al tempo stesso è un'uscita che spinge i lettori storici a qualche riflessione di tipo comparativo. Tempo Zero e Operazione Dorian Gray, come d'altronde tutte o quasi le storie degli anni Ottanta, possiedono una forza espressiva dirompente che col tempo e il progredire della serialità è andata affievolendosi. Niente di anomalo o biasimevole, lo tengo a precisare: è praticamente impossibile mantenere lo stesso livello dopo quarant'anni nelle edicole. Voglio piuttosto dire che i due episodi dello speciale su Mister Jinx sono veramente grandiosi (in qualche misura, insuperabili) per scrittura, resa delle immagini e tensione emotiva. Confermano a pieno quanto la serie ideata da Castelli sia una pietra miliare del fumetto italiano, l'anello di congiunzione tra i personaggi classici e le inquietudini contemporanee, che troveranno in Dylan Dog il massimo rappresentante. Una sottile trepidazione accompagna il lettore dalla prima all'ultima vignetta, perché Jinx non è un cattivo stereotipato, ma una figura complessa che ci turba perché sfrutta a proprio vantaggio alcuni dei nostri desideri più reconditi. D'altronde, chi non ha desiderato almeno una volta di ringiovanire, oppure di trascorrere giornate più lunghe delle canoniche ventiquattro ore? Jinx trasmette angoscia proprio per la sua imprevedibilità e l'impossibilità di ricondurlo entro i confini del classico antagonista: non è uno scienziato pazzo e non vuole diventare il padrone del mondo, sebbene sia indubbiamente geniale e desideri acquisire una posizione di primato sui propri simili.
Consiglio vivamente l'acquisto del volume, arricchito peraltro da corposi redazionali che ricostruiscono la storia editoriale del personaggio.

17 ottobre 2022

Crepuscolari, poeti della negazione

Nei libri di scuola e nelle antologie si parla di Crepuscolarismo ingenerando l'idea che si trattò di un movimento. In verità, i poeti che noi chiamiamo crepuscolari non fondarono un'accademia, né elaborarono manifesti o programmi. Li univa una sensibilità comune che tuttavia non si concretizzò mai in una scuola o in un progetto strutturato. Vissuti nel periodo storico a cavallo tra Scapigliatura e Futurismo, non sono riconducibili a queste due correnti. A differenza degli scapigliati, non si sentivano parte di un'avanguardia; a differenza dei futuristi, non volevano rovesciare l'estetica e lo status quo tramite roboanti manifesti e dichiarazioni di intenti. Rifuggivano l'eroismo e i facili entusiasmi, non volevano costruire l'uomo nuovo né fare da apripista a rivoluzioni politiche o culturali, non volevano bruciare le accademie né inventare un nuovo linguaggio, a loro non interessava arringare le folle o essere un modello. «Io sento che fo da comparsa e che non ho niente da dire», scriveva in proposito Carlo Vallini. I crepuscolari sono dunque gli antieroi per eccellenza, poeti della negazione che tuttavia hanno conquistato un posto di rilievo nella nostra letteratura. Nino Oxilia così ricordò i suoi amici Gozzano e Corazzini: «la vostra sorte / fu quella dell'onda che sciacqua / lieve lieve sulla sabbia, / non quella dell'ondata che si squassa / sugli scogli con impeti di rabbia; / foste la nuvola che passa, / il vostro nome fu scritto sull'acqua». Tutto vero, salvo per l'ultimo verso.
«Poesia è sentirsi morire», scriveva Fausto Maria Martini nel suo romanzo autobiografico Si sbarca a New York. «Io non sono un poeta», annunciava mestamente Corazzini in Desolazione del povero poeta sentimentale. Il crepuscolo come momento più triste della giornata, metafora della fine della giovinezza e dell'ingresso nell'età adulta, tono soffuso che riveste le cose di una polvere malinconica e richiama alla mente immagini di finitezza e di morte. La poesia crepuscolare è una poesia del quotidiano, che tuttavia non cerca negli oggetti chissà quale significato nascosto o esoterico. Le cose sono come le vediamo, richiamano la vita di chi le ha possedute e sopravvivono alla sua scomparsa. Non a caso le liriche parlano di ville abbandonate, vuoti salotti piccolo-borghesi, sanatori per tisici, conventi, convitti, cimiteri, lunghi viali solitari. L'organo di Barberia sostituisce gli squilli di tromba e le pagine grondano di umori malinconici e desolati. Le loro liriche sono popolate di sartine, suorine, bellezze appannate dall'incipiente vecchiaia, giovani melanconici e feriti dalla vita, collegiali, maestrine e convittori. Per capire cos'è stato il Crepuscolarismo, basterebbe leggere lo scarno epitaffio sulla modesta tomba di Corazzini nel cimitero del Verano a Roma: «per chi ricorda, Sergio Corazzini, poeta, a vent'anni». Parole semplici, quasi remissive, rivolte non a un vasto pubblico, ma alla sparuta schiera di "chi ricorda" questo poeta bambino tra i più prodigiosi della nostra letteratura.
Una raccolta esauriente per chi volesse avvicinarsi a questa corrente è quella a cura di Francesco Grisi edita da Newton Compton nella collana Grandi Tascabili Economici. Sebbene sia di difficile reperibilità in quanto edita nel 1995, è un'antologia completa perché ospita sia la "sacra triade" Gozzano-Corazzini-Moretti che una miriade di autori meno noti come Yosto Randaccio, Remo Mannoni, Enzo Marcellusi, Nino Oxilia e altri. Da questa raccolta ho scelto tre liriche che trattano il tema dell'abbandono, uno tra i più cari a questi "poeti della negazione".

Sergio Corazzini (1886-1907) – La villa antica
Dopo tant'anni, ieri. Il viale breve
dietro il vecchio cancello si distende
come un tempo; però sotto la neve
non vi sono più fiori, e più non pende
alcun frutto dai rami; stanca e lieve
ne la triste fontana l'acqua scende...
Nel portico, due legiadrette Eve
un Don Giovanni sotto braccio prende.

Sorridentesi sempre! O, se la pioggia
vi renda gialle o brutte o, se di notte
vi allieti il bacio buono delle stelle
di fra l'edera verde de la loggia,
o statuette moribonde e rotte,
o, della villa dolci sentinelle!


Corrado Govoni (1884-1965) – Villa chiusa
So d'una villa chiusa e abbandonata
da tempo immemorabile, secreta
e chiusa come il cuore d'un poeta
che viva in solitudine forzata.

La circonda una siepe aggrovigliata
di bosso, ed una magica pineta
la cui ombra non più rende inquieta
la garrula fontana disseccata.

Tanta è la pace in questa intisichita
villa, che pare quasi che ogni cosa
sia veduta a traverso d'una lente.

Solo una ventarola arrugginita,
in alto, su la torre silenziosa,
che gira, gira, interminatamente.


Yosto Randaccio (1880-1938) – Chiesa abbandonata
Chiesa bianca solitaria,
sopita nel sogno de l'aria.
E le buone preghiere?
E le anime salmodianti,
e gli organi tuonanti
nel mistero de le sere?

Sento che spira un triste vento
d'esulamento.
Per dove? Il mio cuore non lo sa,
anima de l'eternità.
La nostra tristezza chi la porta?
Quale gigante s'affatica
ne la lotta infinita
che non terminerà?

Tu pure sei morta!
Non lo senti stasera
nel vuoto di questa navata
desolata,
non lo senti questo vento
d'esulamento,
queste grida di suicida?
Antologia Newton Compton del 1995 a cura di F. Grisi

4 ottobre 2022

"Un anno terribile" di John Fante: il sogno del déraciné

Da adolescente lessi Chiedi alla polvere, nell'edizione uscita in abbinamento al quotidiano La Repubblica. Poi nella biblioteca della scuola scovai un altro libro di Fante, La strada per Los Angeles. Da allora, sto parlando degli anni 2002-2004, non mi ero più imbattuto nello scrittore italo-americano. Difatti, nonostante le buone impressioni, non è un autore che ho avuto modo di approfondire. In questi giorni mi è invece capitato tra le mani un suo romanzo breve, tra i meno noti, pubblicato postumo nel 1985 per intercessione della moglie. Un anno terribile è un libricino che rivela il talento cristallino di un grande scrittore, addirittura meglio delle sue opere più celebri. Non è dunque un caso se Fante ci lavorò per molti anni a intervalli irregolari, morendo senza averne ultimato la stesura definitiva.
Un anno terribile è la storia di un ragazzo che sogna di diventare un giocatore di baseball professionista. Dominic Molise, questo il suo nome, è figlio di due immigrati italiani e vive in una gelida cittadina del Colorado. Il padre è un muratore disoccupato abruzzese, la madre è di origini lucane. Facile rinvenire profili autobiografici, dato che la madre di Fante era della Basilicata, mentre papà Nicola veniva da Torricella Peligna in provincia di Chieti. La famiglia Molise è povera ma dignitosa e Dominic sogna di avere successo nel baseball per migliorare le condizioni di tutti. É esile, basso e con le orecchie a sventola, ma crede di essere un lanciatore provetto perché ha dalla sua parte il potente braccio sinistro, da lui personificato e chiamato con magniloquenza il Braccio. Esilaranti le pagine in cui Dominic parla con il Braccio, lo coccola, lo consola se è preoccupato, lo riscalda se ha freddo e lo protegge con un formidabile unguento, il balsamo Sloan dalla fragranza di pino.
In questo romanzo il baseball non è semplicemente uno sport popolare, ma è simbolo e incarnazione del "sogno americano". Fante si fa portavoce dei ragazzi cresciuti a cavallo tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento, per i quali il baseball era uno strumento, anzi l'unico strumento, di affermazione e scalata sociale. Tema centrale del romanzo è l'analisi del conflitto tra Dominic e i suoi genitori, ossia tra gli immigrati di prima generazione e i loro figli nati in America. Mentre i padri confidavano nel lavoro come strumento di riscatto e rivincita anche contro il razzismo, i figli non credevano che il cambiamento potesse venire dalla fatica e dal sudore della fronte. Il lavoro non era considerato da loro un ascensore sociale: l'unica strada da seguire per uscire da una vita di stenti ed emarginazione era il baseball. Non a caso i miti di Dominic sono come lui, hanno nomi americani e cognomi italiani: Joe Di Maggio, Tony Lazzeri, Joe Cicero. Ragazzi poveri, figli del nulla divenuti celebrità.
Nonostante sia un romanzo breve, Un anno terribile offre una straordinaria carrellata di indimenticabili personaggi. Il talento di Fante sta proprio nella capacità di tratteggiare un carattere con poche rapide e incisive pennellate. Questa naturalezza nel saper delineare a tuttotondo un personaggio in poche pagine e battute è, a mio avviso, la chiave del suo successo di critica e di pubblico.
Molteplici gli spunti di riflessione e le chiavi di lettura. In primo luogo, Un anno terribile offre un vivace spaccato della vita degli immigrati italiani negli Stati Uniti nella prima metà del ventesimo secolo. Immigrati che, per dirlo con le parole dello stesso Fante, si commuovevano fino alle lacrime sulle note di Torna a Surriento, ma allo stesso tempo guardavano con ammirazione al modello americano. Fante non nasconde nulla della loro misera vita, eppure non lo fa con toni lacrimevoli; anzi, l'ironia è il punto forte della sua scrittura. Il vero dramma non è materiale, ma identitario, inerente al senso di appartenenza. Dominic Molise è l'emblema di questo tormento: egli è un déraciné, uno sradicato senza un'identità forte. Non si sente pienamente italiano perché non è mai stato in Abruzzo, terra che conosce solo per i racconti nostalgici dei suoi familiari. Al tempo stesso, non è pienamente americano perché porta impressa sulla pelle e nel nome una diversa origine. Cosa fare allora? L'unico strumento per emanciparsi e diventare parte del sogno americano è il baseball, che da sport si fa promessa di eguaglianza e livellamento sociale. Tuttavia, il richiamo delle radici avrà infine la meglio persino sulla ferma volontà di Dominic.