Castellaneta pubblicò Villa di delizia nel 1965, a trentacinque anni, quando aveva già alle spalle due significativi romanzi di formazione, Viaggio col padre e Una lunga rabbia. Mentre questi ultimi guardavano al presente, all'Italia del dopoguerra tra lotta politica e boom economico, Villa di delizia era invece un romanzo storico in controtendenza. Si tratta di un racconto ambientato al tramonto dell'età umbertina, fino ai tragici moti del maggio 1898. Di lì a due anni, come noto, la mano vendicatrice di Gaetano Bresci chiuderà definitivamente una stagione di chiaroscuri.
Il libro si snoda su due piani, il collettivo e l'individuale, la vicenda pubblica e quella privata. Gli scontri di piazza e le rivolte popolari non sono il fulcro della narrazione, piuttosto costituiscono la cornice storica entro cui Castellaneta fa muovere i suoi personaggi. Soltanto le ultime pagine sono dedicate ai moti che condurranno alla strage ordita dal generale Bava Beccaris. Lo scrittore meneghino conferma dunque la sua predilezione verso il mondo anarchico, socialista e operaio, sublimata qualche anno dopo ne La paloma. Se pure emerge la sua vocazione a raccontare gioie e dolori dei ceti popolari, Villa di delizia è prima di tutto il romanzo dell'alta borghesia milanese della fine del secolo decimonono. Il titolo è una vera e propria dichiarazione d'intenti: erano infatti chiamate "ville di delizia" le residenze estive di campagna dell'aristocrazia e della rampante borghesia industriale e finanziaria milanese. La vicenda scandalosa raccontata da Castellaneta si dipana proprio tra il grande appartamento nel centro cittadino e la lussuosa magione di Canonica Lambro, nella verde Brianza.
«Da mesi, la sera, ci corichiamo in tre.»
Luigi e Fernanda Solbiati sono una coppia perfetta e senza macchie, almeno all'apparenza. Ricchissimi, ancora giovani, ben inseriti nella società e con amicizie influenti, sono rispettati e invidiati. In realtà, dietro la facciata delle convenzioni borghesi, si nasconde una torbida verità. Fernanda è vittima delle perversioni erotiche e dei tradimenti del marito. Sebbene anche lei abbia un amante, è Luigi a tenere saldamente in mano i fili del gioco, piegando la moglie a ostinati capricci e incontenibili voglie. Il culmine dell'abiezione è raggiunto quando Luigi si invaghisce di Celestina, una popòla appena sedicenne, figlia di un portinaio e sorella di un fervente socialista. La ragazza viene coinvolta in un peccaminoso rapporto a tre che fa precipitare i protagonisti in un abisso di depravazione e perversione. La condotta di Luigi non è dettata semplicemente da lussuria e concupiscenza, ma cela un progetto ben preciso, tanto abietto proprio perché tenacemente perseguito. Umiliando Celestina, vuole punire la moglie e imporre il suo potere sulle classi inferiori, affermarsi come uomo e come padrone in spregio alla morale corrente e al di sopra delle leggi umane e naturali. Eppure anche la sua ribellione, come tutte le cose umane, sarà destinata ad annegare nel gorgo del tempo, questo sì spietatamente egualitario più di qualsiasi rivoluzione.
«Assisteremo dai nostri posti numerati ad altre regate e rivoluzioni, a concorsi ippici e tumulti plebei, per altre estati spierò dal terrazzo il suo schiocco di frusta alla curva del Lambro, avremo tutto meno la cosa che insieme abbiamo distrutto, avremo mille false ragioni di vivere, e di nuovo andando saremo immobili, senz'altro sollievo di saperci salvi, nel gran vuoto che ci circonda, per arrivare illesi alla morte.»
In merito allo stile, ci sarebbe da fare un discorso lungo e articolato, per il quale non ho le necessarie competenze. Semplificando all'osso, in Villa di delizia si alternano due diversi registri linguistici, quello raffinato della ricca borghesia e quello popolare delle classi meno abbienti, spesso infarcito di errori o espressioni grossolane. Castellaneta fa ampio uso del dialetto, a cui attribuisce una funzione di livellamento sociale, in quanto è parlato da tutti i suoi personaggi. Se l'uso del dialetto è naturalmente il modo esclusivo di esprimersi delle classi popolari, padroni e aristocratici non lo disdegnano, magari per dare maggiore veemenza ai concetti che intendono esprimere. Non si contano le volte in cui si ripetono parole come ligera, tosa, popòla, cadrega, oppure verbi come barbellare e simili.
Villa di delizia è dunque il romanzo meneghino per eccellenza. D'altronde, Milano è assoluta protagonista in tutti o quasi i libri di Castellaneta, dai già citati volumi d'esordio a opere più mature come La paloma e Notti e nebbie. Al contempo, si tratta di un libro che ha i toni impietosi del j'accuse contro l'alta borghesia milanese di fin de siècle, destinata a costituire l'ossatura della classe dirigente del Paese dal fascismo fin quasi ai giorni nostri. Una borghesia arrivista, cinica, vuota, malata di ostentazione e onnipotenza, che coltiva i propri sogni di prevaricazione nel chiuso di un appartamento o nel dorato sepolcro di una villa di campagna.
Edizione B.U.R. 1975
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