26 dicembre 2023

I Timoria e le visioni dal futuro

Dare alle stampe un disco perfetto è una benedizione e al contempo un rischio. Una benedizione se l'artista decide di ritirarsi dalle scene, come un pugile vittorioso che verrà ricordato solo per lo straordinario finale di carriera. Tuttavia, a sfornare un capolavoro si rischia anche di creare enormi aspettative per il futuro; e non di rado pubblico e critica rimarranno delusi. Mi viene in mente la parabola della prima fase della carriera di Alan Sorrenti. Nel 1972 esordì con l'epocale Aria, così perfetto da essere irraggiungibile; Sorrenti provò inutilmente a eguagliarlo con i due successivi 33 giri, sempre di genere progressive, prima della decisa virata verso il pop.
Nel 1995 i Timoria si trovavano esattamente in questa situazione. Due anni prima era uscito il loro capolavoro, quel Viaggio senza vento che a mio avviso si colloca tra i migliori dischi di rock cantato in italiano di sempre. Ripetersi era un'impresa ardua, se non impossibile. Tante erano dunque le aspettative che accolsero 2020 SpeedBall, uscito nel marzo del 1995. Quinta fatica in studio della band, è un disco ottimo che tuttavia sconta il confronto col precedente, rispetto al quale si colloca un gradino sotto. Ciononostante, rimane una delle proposte più interessanti di quell'anno per il rock nostrano, fermo restando che nel 1995 videro la luce, tra gli altri, Germi degli Afterhours e Acidi e basi dei Bluvertigo.
Sulla rete si leggono pareri di ogni tipo su 2020 SpeedBall e in generale sui Timoria. La maggior parte sono commenti favorevoli, oltre a qualche critica motivata. Alcuni sono invece davvero ingenerosi, come purtroppo accade sempre quando si parla di rock nostrano, il cui triste destino è di non essere apprezzato dagli italiani. Snobismo intellettuale, sterile esterofilia, o forse semplicemente l'incapacità di comprendere che la scena tricolore non può e non deve essere paragonata a quelle inglese e americana. A giudizio di molti presunti esperti, si salverebbero solo i mostri sacri degli anni Settanta (Area & co.), oltre ai C.S.I. Il resto è spesso impietosamente contestato: critiche ai Litfiba da El diablo in poi, ai Diaframma senza Miro Sassolini, ai Negrita, ai Marlene Kuntz da Che cosa vedi in avanti. E ciò accade anche ai Timoria, con toni che spesso tradiscono un immotivato pregiudizio.
Tornando al disco, nel 2020 è stato ristampato in occasione del venticinquennale. Oltre all'album, la confezione comprende la registrazione live del concerto tenuto al Rolling Stone di Milano il 18 dicembre del 1995. La ristampa è molto accurata, impreziosita da un ricco libretto con fotografie inedite, i testi e un lungo resoconto di Omar Pedrini sulla genesi del lavoro.
«Eravamo però a un bivio: fare un disco rock-pop, per cercare di soddisfare le radio, per allargare il nostro pubblico e il consenso, o registrare il disco nella maniera più istintiva possibile, autoproducendolo? Ci guardammo tra di noi e in un attimo eravamo tutti d'accordo!»
A differenza dell'illustre predecessore, 2020 SpeedBall non è un concept album, sebbene le canzoni siano legate da un concetto di base: viene immaginato un possibile futuro, una distopia non troppo lontana, a dirla tutta, da quanto si è effettivamente verificato. Un pianeta inquinato in cui si organizzano fughe verso altri mondi (Europa 3), "santi virtuali" che predicano da uno schermo (Guru), relazioni a distanza vissute per mezzo di un computer (2020), giovani senza valori (Week-end), macchine in grado di influenzare il pensiero (Brain machine). Pedrini si preoccupava per il figlio, che avrebbe compiuto ventisette anni nel 2020, la medesima età del padre nel 1995. Ed è incredibile come il futuro immaginato sia vicino al nostro presente, caratterizzato da pandemie, influencer, relazioni virtuali, disastri ambientali.
La formazione è quella storica, con Renga come cantante, Pedrini alla voce e chitarre, Illorca al basso, le tastiere di Ghedi e Galeri dietro le pelli. Quanto al suono, interessanti le rivelazioni di Pedrini nel libretto della ristampa in cd: «ascoltavamo molto prog, tanto rock americano (erano i tempi di Seattle e del grunge) e moltissima musica inglese […]; in questo album anche le influenze metal uscirono poderose». E in effetti il suono è vario e decisamente più "duro" rispetto ai precedenti lavori. Fare l'analisi traccia per traccia ha poco senso, però qualche breve osservazione è d'uopo. I brani in totale sono diciassette, ma cinque sono semplici intermezzi di un minuto o poco più che legano le varie parti del disco. Tali intermezzi sono trascurabili, a parte la funkeggiante No money, no love e la granitica Brain machine, quest'ultima riproposta anche dal vivo. Venendo alle canzoni, ci sono almeno due ballate che potremmo definire radiofoniche: Senza far rumore e Via Padana Superiore. La prima è una classica rock ballad elettrica che mette in evidenza le doti vocali di Renga; è un pezzo emozionante, anche se classico nell'incedere e nella struttura. Via Padana Superiore è invece cantata da Pedrini, che ne è anche l'autore. Inizia con chitarra acustica e voce arrochita, per poi esplodere in un crescendo elettrico che ne fa uno dei migliori pezzi del quintetto bresciano. Il muro chitarristico costruito da Pedrini e la poderosa sezione ritmica di Illorca/Galeri dominano nell'introduttiva 2020, nella stratosferica Sudamerica e nella breve ma decisa Week-end. Sono canzoni d'impatto, a vocazione hard. Bisogna riconoscere che i Timoria abbiano avuto coraggio a percorrere una strada più ostica rispetto alla ballata radiofonica che sicuramente avrebbe portato maggiori consensi. Il manifesto del disco è proprio la title track, con quei versi di portata generazionale divenuti un marchio di fabbrica.
«Vivere, morire in fretta, datemi la via d'uscita.»
Boccadoro è invece l'esempio perfetto del connubio di stili cui accennavo prima. Per stessa ammissione di Pedrini è un pezzo prog, o forse sarebbe meglio dire che si tratta di un brano che richiama atmosfere del rock nostrano degli anni Settanta, tra Le Orme e il Banco del Mutuo Soccorso. Come da tradizione progressive, sono le tastiere di Ghedi a tenere la scena, così come il testo che ricorda alcune cose del Banco. Da segnalare, anche se un gradino sotto alle citate, la soffusa Fino in fondo e l'onirica Europa 3, caratterizzata da un improvviso cambio di ritmo nella seconda parte. Decisamente da rivedere sono invece Mi manca l'aria e Dancin' queen, pezzo sperimentale che dà l'idea di essere un mero riempitivo.
In conclusione, un disco vario e ispirato, forse non immediato ma che sa imporsi alla distanza. A mio avviso non può mancare in una collezione di rock italiano che si rispetti. Se invece non conoscete nulla dei Timoria, suggerisco di partire da Viaggio senza vento.
La copertina e la band in una foto del libretto interno

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