24 giugno 2024

Federico Fiumani, la solitudine è il privilegio della libertà

Tra gli appassionati è tuttora aperto il dibattito se i Diaframma siano preferibili con o senza Miro Sassolini, l'inconfondibile voce che ha impreziosito gli anni Ottanta della band toscana. Se Siberia, Tre volte lacrime e Boxe sono ricordati come vette della new wave italica, lo si deve anche alla capacità di Miro di interpretare gli splendidi testi di Fiumani, merito di una voce tra le più intense del panorama tricolore di quegli anni. Come sa bene chi conosce a fondo la discografia del gruppo, Boxe (1988) si chiudeva con Caldo, cantata da Fiumani a voler testimoniare un doloroso ma ineludibile passaggio di consegne. La sua voce "asimmetrica", come l'ha definita Brizzi in Jack Frusciante è uscito dal gruppo, è da oltre trent'anni un vero e proprio marchio di fabbrica. La si ama o la si odia, tertium non datur.
Dopo la rottura con Sassolini, Fiumani si era messo alla prova con l'EP Gennaio, contenente due tra le sue canzoni più amate dal pubblico: l'omonima che dà il titolo al mini-album e L'amore segue i passi di un cane vagabondo. Ma mentre Gennaio serviva per scaldare i motori, nel 1990 usciva il primo long playing dei rinnovati Diaframma, intitolato non a caso In perfetta solitudine. La formazione che lo incise era a tre: Fiumani alla chitarra e voce, Massimo Bandinelli al basso e Fabio Provazza alla batteria. L'appoggio di una grande casa discografica come la Ricordi, oltre alla produzione di Vince Tempera, dimostrava l'ambizione del progetto. Peraltro, è storia arcinota il rifiuto di Fiumani di partecipare al Festival di Sanremo con un brano più commerciale, evento che riportò il gruppo nell'underground, di cui è tuttora uno degli alfieri.
Tornando a In perfetta solitudine, già il titolo dà l'idea di una ripartenza, se non addirittura di una rinascita. Abbandonate le dinamiche da band, Fiumani abbracciò una dimensione più cantautoriale, tanto che spesso si è parlato di "cantautorato rock". Una solitudine perfetta perché ha dato al musicista la giusta concentrazione per reinventarsi e intraprendere strade che la dimensione della rockband non consentiva di affrontare. Non a caso, qualche anno dopo, in una canzone poco nota intitolata Francesca, 1986, Fiumani ha ricordato il sofferto periodo che precedette lo scioglimento della formazione storica.
«All'epoca facevo un disco che doveva intitolarsi Falso amore. E stavo sempre in mezzo a gente che adesso non mi va nemmeno di nominare.»
In perfetta solitudine è composto da tredici tracce, di cui almeno sei sono diventate nel tempo veri e propri classici dei concerti dei Diaframma. Per quanto riguarda il suono, la stagione new wave è definitivamente alle spalle: abbandonati i toni plumbei di Siberia e la furia di Tre volte lacrime, Fiumani mostra la sua vena più cantautoriale. Non mancano le cavalcate elettriche (Trecento balene, Diamante grezzo), sebbene il suono appaia più smussato rispetto al passato. In canzoni come Il portiere e Beato me, ad esempio, funziona bene la combinazione voce e chitarra acustica, benché il nostro non abbia un'intonazione particolarmente "educata". Il vecchio amore chiamato punk non è tuttavia dimenticato, come dimostrano il finale di Verde e il piglio deciso del cantato di Io amo lei. Quest'ultima è, a mio avviso, una delle più originali canzoni d'amore scritte in Italia, grazie a un testo mai banale e particolarmente profondo.
«Io amo lei, non tutti gli uomini che ha avuto per dare un senso al suo passato.»
Brutto orso è un pezzo sul pugilato, altra grande passione del chitarrista toscano. Risalta un verso che è la dichiarazione di intenti di un artista che non si è mai venduto al mercato e ha protetto gelosamente la propria libertà, a costo di essere messo ai margini del giro che conta.
«E se perdo, voglio farlo come dico io!»
Fiumani dimostrò concretamente di voler percorrere fino in fondo la propria strada due anni dopo, quando diede alle stampe il disco autoprodotto Anni luce, in cui, finalmente libero dai legacci di una major, tracciò ancora meglio i confini del cantautorato punk-rock che ha orgogliosamente portato avanti fino ai giorni nostri. In perfetta solitudine è pertanto un disco di transizione, ma sarebbe un errore sottovalutarlo. Ritengo infatti che sia un ottimo album, come dimostrano le felici intuizioni presenti anche nelle tracce meno note. Si ascolti in proposito Io ho freddo adesso.
«Lei era bella, ma bella davvero, e allora sai perché quando venni, venni dentro di me.»
Arrivato alla fine della recensione, mi rendo conto di non essere riuscito nell'intento propostomi, ovvero dare un'idea più precisa dello stile musicale dei primi Diaframma post Sassolini. E allora, è sufficiente dire che In perfetta solitudine è la colonna sonora di una giovinezza orgogliosa e sofferta, il canto di un'anima alla conquista dell'agognata emancipazione, dopo essere stata a lungo in gabbia. D'altronde, come scriveva Gian Piero Bona, «la solitudine non è sempre una rinuncia, può essere il privilegio della libertà».

12 giugno 2024

"Punizione" di Giovanni Fiandaca: è possibile ripensare la pena

Ci sono concetti che diamo per scontati, affermazioni perentorie che riteniamo non possano essere messe in discussione, quasi appartengano all'ordine naturale delle cose, anziché essere un prodotto culturale e umano. Tra queste c'è l'assioma reato/pena detentiva, ossia la convinzione che a fronte della commissione di un delitto l'unica reazione giusta e doverosa sia la carcerazione. Ma è davvero così?
«Diamo per scontate le prassi punitive, anche se non sempre siamo in condizione di comprendere con facilità se certe reazioni abbiano davvero un significato punitivo.»
Il nome di Giovanni Fiandaca è conosciuto tra gli operatori del diritto, tra quanti abbiano studiato diritto penale nelle facoltà di giurisprudenza, o abbiano fatto ingresso almeno una volta in un'aula di tribunale in qualità di giudice, avvocato o cancelliere. Professore emerito di Diritto penale all'Università di Palermo, ha ricoperto, tra gli altri, gli incarichi di membro del CSM e Garante dei diritti dei detenuti per la Regione Sicilia. Gli studenti lo conoscono soprattutto per il celebre manuale di diritto penale scritto insieme a Enzo Musco, tuttora adottato in molti atenei. Di recentissima pubblicazione (gennaio 2024) è il breve saggio Punizione, uscito nella collana "Parole controtempo" de Il Mulino, volumetti che analizzano con taglio critico e al tempo stesso divulgativo una serie di parole "antiche" che tuttavia rivestono ancora un profondo significato. Nel corso del tempo sono stati pubblicati libri dai titoli eloquenti, come Occidente, Educazione, Lavoro, Passato, Saggezza e numerosi altri.
Il saggio è suddiviso in quattro parti. Le prime tre offrono un quadro complessivo sulla teoria generale della pena dall'età antica al presente, con uno sguardo sulle prospettive future. Fiandaca presenta un breve excursus dei principali orientamenti di giustizia retributiva, prestando al contempo attenzione ai futuri sviluppi della cosiddetta giustizia riparativa, di recente inserita anche nel nostro codice di procedura penale e nella legge di ordinamento penitenziario n. 354/1975. Ci sono inoltre stimolanti spunti extragiuridici, sul concetto di punizione in ambito filosofico, educativo, pedagogico e religioso. L'ultima parte è dedicata alla pena per eccellenza dell'epoca moderna, il carcere. Realtà ben conosciuta dall'autore per la sua esperienza, o sarebbe meglio definire missione, di Garante regionale dei diritti dei detenuti. Come noto, l'art. 27 della Costituzione assegna alla pena il compito di "tendere alla rieducazione del condannato". Fiandaca ne approfitta allora per tornare al tema principale del libro: se la pena deve essere rieducativa, può la detenzione assolvere davvero a tale compito? O non sarebbe meglio, salvo alcuni reati di grande allarme sociale, preferire forme alternative di esecuzione penale?
Come si evince, Punizione è un saggio che stimola la riflessione, mettendo in dubbio le certezze consolidate di cui parlavo all'inizio. Si leggano in proposito le lucide parole contro una delle tendenze più perniciose della nostra epoca, il populismo penale alimentato da alcune forze politiche e dall'influenza suadente dei mezzi di comunicazione di massa.
«Il grande paradosso evidenziato sin dalla premessa di questo libro deriva dalla coesistenza, nell'attuale momento storico, di due tendenze di fondo opposte: da un lato una contingente deriva punitivista, figlia di un populismo politico che tende appunto a canalizzare in chiave repressivo-ritorsiva sentimenti di rabbia, indignazione, risentimento e frustrazione diffusi nei settori sociali più svantaggiati; dall'altro, un'accresciuta consapevolezza, da parte di molti esperti a vario titolo di questioni penali, che le forme tradizionali di pena forniscono una risposta sempre meno adeguata e soddisfacente in termini sia di giustizia che di efficace contrasto alla criminalità.»
Un'ultima notazione va fatta riguardo ai destinatari. L'autore tiene a precisare che è un volume dal taglio divulgativo, volto a destare la curiosità dei non addetti ai lavori intorno al tema della pena. E in effetti bisogna riconoscere che il libro fornisce interessanti spunti di riflessione e risponde a molte domande, ma soprattutto pone dubbi, lasciando al lettore la possibilità di interrogarsi intorno alle tematiche trattate. Per quanto riguarda i giuristi, a mio avviso può essere un utile ripasso di teoria generale della pena, di caratura decisamente superiore ai vari compendi e manualetti in circolazione. Se dunque è principalmente indirizzato ai profani del diritto, sono certo che sarà apprezzato anche da avvocati, giuristi e operatori penitenziari. Particolarmente consigliato per questi ultimi, in ragione delle pagine contenenti una lucida analisi della realtà inframuraria italiana.