29 settembre 2024

"Rondò" di Kazimierz Brandys: una rischiosa finzione

Ci sono libri di piccolo culto, sconosciuti ai più eppure amatissimi da una ristretta cerchia di ammiratori. A volte si tratta davvero di capolavori nascosti, in altri casi servono soltanto a gonfiare l'ego di quanti vogliono spacciarsi per intenditori. Rondò appartiene sicuramente alla prima categoria, come dimostrano gli autorevoli pareri di chi lo ha eletto a grande opera. «Un libro ricchissimo e a mio giudizio bellissimo», ha sentenziato il celebre critico Geno Pampaloni; «i signori di Stoccolma dovrebbero dargli il Nobel», ha azzardato Grazia Cherchi.
Kazimierz Brandys (1916-2000) è stato uno dei più importanti scrittori polacchi del Novecento, autore di opere che hanno descritto il clima politico e culturale del Paese natale nei durissimi anni tra l'occupazione tedesca e il dopoguerra con l'avvento del comunismo. Rondò è uno dei suoi lavori più acclamati.
«La carriera, la fortuna, il successo, non ho mai voluto pensarci, in tutta la mia vita non ho avuto nemmeno un successo, né del resto l'ho cercato. Mi si potrebbe definire un perdente, uno che ha sprecato le proprie possibilità.»
Così si definisce impietosamente Tom, protagonista e io narrante della vicenda. È un giovane nato in provincia, figlio di un insegnante e orfano di madre, la cui vita cambia radicalmente quando si trasferisce nella vivace Varsavia degli anni Trenta per studiare legge all'università. Qui, per il tramite di un amico, conosce Tola, un'attrice di teatro di cui si innamora perdutamente. Sarà l'incontro che gli cambierà per sempre la vita.
«Tola Mohoczy era allora all'inizio della sua grande carriera teatrale, io invece potevo solo vantarmi di essere stato ammesso al secondo anno di Legge. Cosa mai ci unì? L'unica risposta che posso dare: il destino.»
Destino è la parola chiave del romanzo. Tola è una donna libera, eccentrica, emancipata, spregiudicata; pur concedendosi talvolta a Tom, non accetta legami stabili, anche perché a sua volta è innamorata dell'enigmatico Cezar. Allora Tom decide di giocare una partita impari col destino: per soddisfare il desiderio di avventura di Tola, finge di essere promotore e capo di un inesistente gruppo di resistenza armata contro l'invasore nazista, chiamato appunto Rondò. Affida alla ragazza compiti all'apparenza rischiosi, ma in realtà del tutto innocui. Attraverso questo stratagemma crede di mostrarsi interessante agli occhi di Tola e soprattutto spera di poter diventare arbitro dei suoi destini, legandola indissolubilmente a sé. Il destino però non si lascia governare e il gioco si ritorce contro il suo inventore. Brandys ci insegna che nessuno può sfuggire alla tirannide di un fato che è già scritto e non può essere mutato. Anzi, forzare gli eventi in nome di un presunto libero arbitrio è controproducente e pericoloso.
La Varsavia occupata del lustro 1939-1945 è il palcoscenico della storia. Una città che prosegue la propria vita nonostante l'occupazione nazista; anzi, in tutto il romanzo non compare neppure un tedesco. Bar, teatri, appartamenti e tram sono il centro dell'azione; Brandys riesce a ricostruire con mille dettagli il clima di un'epoca e lo spirito di una città occupata dall'invasore, precaria ma al tempo stesso sempre uguale a se stessa.
Rondò si è rivelato un libro tutt'altro che semplice. L'ho acquistato perché incuriosito dalla trama, eppure ho faticato molto per arrivare alla conclusione. La lettura non è agevole a causa dei continui salti temporali: l'io narrante si muove sempre su almeno due piani, il periodo dell'occupazione e quello post-bellico, intrecciandoli spesso. Ciò mi ha sovente confuso, costringendomi a rileggere più volte alcuni passaggi. Il romanzo peraltro non è suddiviso in capitoli o paragrafi: è un lungo monologo di oltre trecento pagine scritto sotto forma di lettera al direttore di un giornale, senza pause o interruzioni. Leggerlo è un'esperienza immersiva ma faticosa; a tratti sembra quasi di essere investiti dalle parole di Brandys e di non riuscire a prendere fiato. Ovviamente non metto in discussione la grandezza dell'opera, se tanti e più autorevoli di me l'hanno giudicata grandiosa. Verosimilmente, Rondò si è rivelato al di sopra delle mie possibilità, forse anche perché, ignorando la storia, la letteratura e il teatro polacchi, non ho saputo cogliere tutti gli spunti culturali di cui il libro è ricco.

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