24 novembre 2025

"L'isola misteriosa" di Jules Verne: il più classico tra i classici

«Maestro, quanti sogni avventurosi
sognammo sulle trame dei tuoi libri!
[…]
Pace al tuo grande spirito disperso,
tu che illudesti molti giorni grigi
della nostra pensosa adolescenza.»
In morte di Giulio Verne non è la più famosa tra le poesie di Gozzano, eppure è un piccolo gioiello che vibra di sincera commozione e gratitudine. Un tempo erano i romanzi d'avventura ad accendere la fantasia dei giovani, ancora prima del cinema e dei fumetti. Gli scrittori erano dunque considerati dei miti, come poi accadrà con attori e rockstar.
Tra tutti i romanzi di Verne, L'isola misteriosa è uno dei più celebri, nonché uno dei migliori a giudizio di critici e lettori. È un classico intramontabile che merita di essere letto a tutte le età, perché oltre al piano squisitamente narrativo contiene riflessioni sempre valide che si possono apprezzare anche da adulti. La vicenda si svolge durante la Guerra civile americana, a metà dell'Ottocento. Cinque uomini vengono fatti prigionieri dai sudisti e condotti nella città di Richmond, dove possono muoversi liberamente ma da cui non possono allontanarsi. Durante una notte di tempesta riescono tuttavia a imbarcarsi a bordo di un pallone aerostatico, mollano le zavorre e scompaiono tra le nubi. Dopo un lungo e faticoso viaggio naufragano su un'isola apparentemente deserta, da loro ribattezzata Isola Lincoln.
Con questo libro Jules Verne cantò la cieca fiducia nelle sorti progressive dell'umanità. I cinque protagonisti infatti, sbarcati coi soli vestiti addosso e poco altro, col duro lavoro e avvalendosi della propria intelligenza riescono a insediarsi nella terra in cui il caso li ha gettati, trasformandola da landa desolata in colonia autosufficiente. Questa fiducia assoluta nell'uomo e nei suoi mezzi è un valore tipicamente ottocentesco, quando il rapido progresso della scienza e della tecnologia dava l'idea che tutto fosse possibile. Purtuttavia Verne, da precursore dei tempi qual era, anticipò anche alcuni principi ecologisti che si sarebbero fatti largo nel secolo successivo, come la consapevolezza della limitatezza delle risorse naturali, una certa coscienza ambientalista e l'amaro convincimento che il potere dell'ingegno umano è destinato ad arrendersi di fronte alle sovrane leggi di madre natura.
I cinque protagonisti della vicenda sono uomini del loro tempo. Cyrus Smith, il capo indiscusso, è un ingegnere; la sua sapienza tecnica e scientifica è illimitata e non esiste campo del sapere in cui non sia versato. Il secondo più autorevole è Gideon Spilett, giornalista di professione che non disdegna di abbandonare la penna per dedicarsi ai lavori manuali. Harbert, il più giovane del gruppo, è un ragazzo che studia da naturalista: piante e animali non hanno segreti per lui. Pencroff è invece un burbero marinaio, che sotto la scorza del lupo di mare nasconde un cuore d'oro. Infine c'è Nab, cuoco abilissimo e anch'egli espertissimo di tutti i lavori manuali. Nab è un uomo di colore ed è il personaggio che parla di meno e spesso si esprime con una disarmante ingenuità. Questa caratterizzazione stereotipata, persino velatamente razzista, è tuttavia figlia del suo tempo e come tale va inquadrata. Ciò non rispecchia però le idee dei suoi compagni, tutti convinti antischiavisti che trattano Nab con massimo rispetto e amicizia. Un sesto membro della spedizione è il cane Top, quadrupede fedele e intelligente che in più di un'occasione si rivela un aiuto preziosissimo. Infine non si può dimenticare l'Isola Lincoln, forse il vero protagonista del romanzo. Verne l'ha descritta così minuziosamente che i suoi paesaggi rimangono scolpiti nella mente del lettore, dando quasi l'impressione di trovarsi lì a condividere le peripezie del gruppo di coloni.
L'isola misteriosa è un libro su cui si è scritto di tutto, né è possibile aggiungere alcunché. Come tutti i grandi classici, però, ha sempre qualcosa da dire. In primis è una storia senza tempo che contiene tutti gli ingredienti dell'Avventura con la A maiuscola: un'isola sperduta e non segnata sulle carte, alcuni eventi inspiegabili e persino inquietanti, un rompicapo da risolvere, una misteriosa e invisibile presenza salvifica, lotte contro animali feroci e invasioni di pirati, burrasche ed eruzioni vulcaniche. Tutti ingredienti che sanno accendere la fantasia dei lettori a prescindere dalla data di nascita, purché abbiano voglia di lasciarsi trasportare dalla formidabile penna del Maestro Jules Verne.
Una recente edizione Feltrinelli

8 novembre 2025

"Poco zucchero", il cinico e tagliente Faust’O

A fine anni Settanta si affermarono nuovi volti nella fitta schiera del cantautorato nostrano. Personaggi diversi dal cliché dell'artista impegnato "di sinistra" che aveva furoreggiato nel decennio, i quali presentavano una proposta musicale diversa, spesso più vicina alle influenze straniere. Penso all'ironia graffiante di Alberto Fortis, oppure al mitteleurock di Gino D'Eliso, fino ad arrivare alle tentazioni art-rock di Garbo qualche anno dopo. Tra questi, una figura ancora più radicale che merita un discorso a parte è quella di Fausto Rossi, nativo di Sacile e più conosciuto con lo pseudonimo di Faust'O.
Aveva esordito nel 1978 con un album dalle tinte forti e dal titolo eloquente: Suicidio. Conteneva brani come Benvenuti tra i rifiuti, Godi, Bastardi e Il mio sesso, veri e propri gioielli di piccolo culto ancora ricordati da una sparuta schiera di fedelissimi, come si evince da una sommaria ricerca sulla rete. L'anno successivo fu la volta di Poco zucchero, secondo lavoro in studio pubblicato nel 1979 dall'etichetta Ascolto di Caterina Caselli. Fu registrato nei mesi di febbraio e marzo presso il "Radius Studio" sotto la sapiente produzione artistica dello stesso Faust'O e del compianto Alberto Radius. Nutrita e di livello la schiera dei musicisti coinvolti, tra cui Claudio Pascoli al sax, Walter Calloni e Tullio De Piscopo alle percussioni, Radius alla chitarra elettrica e il bassista statunitense Julius Farmer. Fausto Rossi, oltre a cantare, suona tastiere e sintetizzatori, tra cui l'italico polifonico Crumar.
Nell'iniziale Vincent Price, scritta a quattro mani con Oscar Avogadro, si nota il tocco di Radius: è un pezzo marcatamente rock con chitarra elettrica in evidenza, in cui la figura dell'istrionico attore statunitense, noto per aver interpretato celebri pellicole horror, diventa la metafora per esprimere un messaggio inquietante: è fuorviante cercare il mostro negli altri, il mostro è dentro di noi, anzi siamo noi.
«Ma quando alla mattina scopri allo specchio
la faccia che hai,
e mentre fai la barba giunge un suono all'orecchio:
sta russando anche lei.
Dubbi ormai non hai più,
quei due occhi e quel mostro sei tu.»
Spesso il nome di Faust'O è associato alla new wave, quantomeno per la prima fase della sua carriera di cui fa parte anche Poco zucchero. In questo LP le influenze del genere appaiono effettivamente marcate, soprattutto in virtù dell'ampio uso di tastiere e sintetizzatori che regalano quel suono algido tipico appunto della new wave. Si ascolti Il lungo addio, un'anomala canzone d'amore dalle atmosfere glaciali e rarefatte che sostengono la voce tagliente del cantautore. Il brano, forse il migliore della scaletta, ricorda Vienna degli Ultravox, con la precisazione che il capolavoro della band inglese fu pubblicato l'anno successivo. Altre canzoni si allontanano invece dal genere citato, come l'intensa Attori malinconici o la radiofonica Oh! Oh! Oh!, più vicine a un pop raffinato. Il canto si fa sussurro in Kleenex, altro pezzo di culto, con un testo che sfida la buona creanza e osa varcare i limiti della comune decenza. D'altronde, le liriche che inquietano sono il suo marchio di fabbrica, ora sinistramente ironiche, ora dirette come un gancio in faccia.
«La mia lingua su un tampax
sfiora la castità,
per servirti ho il mio Rolex,
per freddarti ho l'età.»
L'album, della durata di poco più di trenta minuti, si chiude con i sette minuti di Funerale a Praga. L'inizio è quasi di matrice progressiva, in stile Pink Floyd; quando però arriva la voce salmodiante di Faust'O, il pezzo assume un incedere funereo, fino alla meravigliosa coda finale di sintetizzatori e sassofono.
Provocazione, feroce sarcasmo e attitudine punk sono le chiavi di lettura di questo album e più in generale dell'intera produzione di Fausto Rossi, figura anomala e anarchica nel panorama cantautoriale nostrano. Conosciuto da pochi, idolatrato da un manipolo di irriducibili appassionati, di lui si può dire tanto, nel bene o nel male, ma di certo gli vanno riconosciute la coerenza e la capacità di seguire una strada diversa da quella battuta dagli altri. Poco zucchero è un disco cinico e tagliente, come lo sguardo sul mondo di questo artista.