La lettura de La panne ha confermato
l’impressione che già avevo avuto con Il giudice e il suo boia: a Dürrenmatt interessavano specialmente
gli aspetti patologici della giustizia umana, lo intrigavano le implicazioni
distorte della funzione giudiziaria. Secondo lo scrittore svizzero, il diritto
non è das Recht, la strada dritta
verso la verità, quanto piuttosto una linea contorta, che può essere piegata a
piacimento lungo le direttrici del giusto o dell’abuso. E mentre ne Il giudice e il suo boia la domanda
è se possa esistere un delitto perfetto, ne La
panne l’interrogativo riguarda la possibilità di accusare taluno di un reato
che non ha mai commesso, fino a convincerlo della propria (insussistente) colpevolezza.
D’altronde, uno dei principali personaggi del romanzo, il pubblico ministero,
dichiara senza mezzi termini che un delitto si trova sempre, basta indagare nel
vissuto di ogni uomo.
Alfredo Traps, un modesto rappresentante di commercio, è costretto a fermarsi per
la notte in un villaggio svizzero, a causa di una panne alla sua automobile.
Viene ospitato dall'anziano proprietario di una dimora signorile, che lo invita
a partecipare ad un gioco insieme ai suoi tre più cari amici. I quattro
vegliardi sono pensionati che hanno calcato le aule di giustizia nelle vesti di
giudice, pubblico ministero, avvocato e boia. Il loro gioco preferito consiste
nel rinverdire i fasti del passato, inscenando finti processi a personaggi
storici; quando però si presenta un ospite a cena, è quest’ultimo a venir
coinvolto nel gioco, in veste di imputato. Traps si sottopone volentieri alla
farsa, divertito e convinto della propria innocenza. Il pubblico ministero, invece,
con una requisitoria logicamente impeccabile, anche se giuridicamente
infondata, finirà per inchiodarlo ad una terribile verità, convincendolo
di aver commesso un turpe delitto. È a questo punto che si verifica una panne anche
nel cervello del povero Traps, un vero e proprio cortocircuito emotivo che lo
condurrà ad esiti tragici.
Il breve romanzo lancia diversi interrogativi e spunti di riflessione. In
primo luogo, centrale è il ruolo del caso, che per Dürrenmatt è il vero gerente
dei destini umani. Il fatto che dà il via ad una concatenazione di eventi
irreversibili e drammatici è una semplice panne, un guasto meccanico
che genera conseguenze imprevedibili. Il titolo è dunque centrale nell'analisi
del romanzo, perché richiama un tema assai caro all'autore svizzero: quello
dell’evento fortuito e apparentemente marginale, che diviene il fulcro di
coincidenze imponderabili.
Ad una lettura più approfondita, il libro è un'acuta riflessione
sulla sacralità della giustizia, un affare troppo serio per diventare oggetto
di giochi o spettacoli. Ed è proprio questo l’aspetto di più stretta attualità
del romanzo; viviamo in un’epoca che ha fatto dei processi mediatici un vero e
proprio affare milionario, ad uso e consumo di spettatori del tragico che
cercano nella condanna altrui una catarsi dalle proprie meschinità. Dürrenmatt,
sia pur involontariamente, anticipa i tempi e vuole dirci che la sala da pranzo
del giudice in pensione, così come i moderni studi televisivi, non sono aule di
udienza. Eppure, allo stesso modo e con la stessa effettività, possono decidere
i destini umani. Sta dunque a noi, alla nostra intelligenza e sensibilità, fare
in modo che ciò non accada.
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