Tanti e affascinanti sono i resoconti
che i viaggiatori stranieri del Grand Tour ci hanno lasciato, primo fra tutti
Goethe. Napoli era una tappa obbligata per questi coraggiosi viandanti, che,
alla ricerca delle vestigia del passato, non di rado si spingevano più a sud,
fino a Paestum. Pochi, però, erano quelli che, lasciata l’antica Poseidonia,
avevano l’ardire di proseguire oltre, fino agli argini del “nobile Alento”, in
quel Cilento allora considerato la “terra dei tristi”.
Craufurd Tait Ramage, letterato e
studioso di lettere classiche, nonché precettore dei figli del console inglese
a Napoli, nell’aprile del 1828 intraprese un lungo tragitto, il cui racconto
venne dato alle stampe col titolo di Viaggio nel Regno delle Due Sicilie. Attraverso
il Cilento è un estratto di quest’opera, ed è stato di recente pubblicato in
volume autonomo dalle Edizioni dell’Ippogrifo. Ramage si avventura nel Cilento
alla ricerca delle rovine greche e romane e, più in generale, delle
sopravvivenze classiche in un territorio così ricco di storia. La parte
dedicata alla zona più meridionale della Campania è costituita da un centinaio
di pagine, che ci offrono un resoconto fedele, perché scritto da uno straniero,
di un popolo e di una terra che all’epoca doveva apparire a molti appena al di
sopra delle soglie della civilizzazione.
Il letterato scozzese incontra
persone di ogni ceto sociale, dai nobili ai contadini, uscendo indenne persino
da un fortunoso (e comico) incontro con i briganti di Monteforte. Egli si avvicina
con pregiudizio a questo popolo povero ma orgoglioso, tanto che in più
occasioni, specie nelle prime pagine del libro, rivela al lettore la folle
paura di poter essere in qualsiasi momento accoltellato e derubato dei suoi
averi. In breve, però, ogni pregiudizio si rivela infondato; alcuni lo guardano
con sospetto, ma la maggioranza delle persone che incontra sono gentili e
disponibili, nonché curiose: egli riesce addirittura a parlare di
costituzionalismo con i semplici avventori di una locanda di Torchiara. E
quando si imbatte nei più umili, questi non esitano a voler dividere con lui il
poco pane posseduto, per un innato senso dell’ospitalità. Certo egli non
nasconde i difetti di questa gente, il pressappochismo e la mancanza di
industriosità che regnano un po’ ovunque. Eppure, alla fine non potrà che
concludere che: “tutto ciò che ho potuto osservare di questa gente mi piace;
nulla può superare la bontà, la cortesia e l’ospitalità dimostratami senza distinzione,
da tutti quelli che ho avvicinato”.
Ramage rimane affascinato dalla
natura selvaggia che incontra, dal placido mare ai boschi scuri e secolari,
attraversati da impetuosi torrenti. E arriva persino a dire che le opere
naturali appaiono ancora più grandiose delle pur impressionanti vestigia dell’antichità,
perché “anche se non avessi visto null’altro all’infuori del tramonto dalla
cima del Monte Stella, mi considererei pienamente ripagato di tutti i disagi
che ho fin qui sostenuto”.
Il viaggiatore scozzese dedica alcune
riflessioni anche alla difficile situazione politica. Il 1828 è un anno cruciale,
tanto che nei mesi successivi al passaggio di Ramage il Cilento sarà infiammato
da un tentativo rivoluzionario, guidato dalla Carboneria e volto ad ottenere la
Costituzione, represso nel sangue dalle truppe borboniche. Interessanti sono
pertanto i riferimenti a questa situazione esplosiva, che ci danno anche un
quadro di come il governo diffidasse apertamente di questo popolo, considerato
avvezzo all’eversione e al tradimento.
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