22 agosto 2015

"Pensieri puri e pericolosi: rovine in attesa". La recensione di Serena Di Sevo

Sulla rivista “La Mandragola” è apparsa una interessante recensione de Le rovine in attesa, a cura della giornalista Serena Di Sevo. Riporto di seguito le sue parole, cogliendo l’occasione per ringraziarla per i molti e nuovi spunti di riflessione sull’opera.

PENSIERI PURI E PERICOLOSI: ROVINE IN ATTESA
A cura di Serena Di Sevo 
Tra le tentazioni della modernità sua eccellenza tentazione è di certo quella del passato, un luogo in cui rifugiarsi alla ricerca di quei valori che si ritengono perduti. La modernità può essere vissuta con fastidio, condanna e incomprensione, farsi concetto assoluto del disagio e dell’estraneità rispetto al sentire altrui. È nella politica che questo disagio si manifesta prepotente: una tabula rasa di programmazione, ideali, diversificazione che produce quell’horror vacui che con termine terribile chiamiamo qualunquismo ma che di fatto è rassegnazione a un presente che non si può cambiare. La lotta, laddove resiste, parla la lingua vecchia del passato, un passato che nostalgicamente proviamo a ricostruire criticamente. Nelle desolate terre del sud Italia la rassegnazione è incancrenita nella convinzione di essere condannatati a un destino ineluttabile e crudele originato, secondo l’opinione di molti, da quella ferita mai curata dell’unificazione nazionale. Chi ha strappato il meridione dai fasti e dalla gloria, da un’identità di popolo unito sotto la stessa cultura, lo stesso re, lo ha fatto con false promesse e con cattiva coscienza. Il nostro sud è come una vecchia casa in rovina ristrutturata secondo regole scorrette che hanno impiantato, in luogo di forti pietre e pregiati legni, effimere promesse laddove profumavano i limoni e fiorivano le vigne e i ciliegi. Pensiero puro e pericoloso. Rovine in attesa.
Cosa accadrebbe se da questo pensiero si provasse a fare un passo più in là, un progetto di rinascita, un progetto rivoluzionario che porti le lancette della storia indietro nel tempo senza cancellare l’esperienza del tempo intanto trascorso? L’ultimo libro del giovane scrittore di origini cilentane Alfonso Cernelli, "Le rovine in attesa", parte proprio da questo presupposto per narrare con delicatezza il tema del passato nell’ossessione di un nobiluomo in rovina, arroccato nel suo palazzo, nascosto tra i libri di una ricca biblioteca, a coltivare progetti rivoluzionari per la propria terra. Un destino, quello del marchese Alberico Priviano, condannato e fatalmente destinato ad incontrarsi con altrettanta solitudine: il giovane Erminio Narri, giurista bibliotecario insoddisfatto e frustrato riceve una misteriosa lettera in cui gli viene offerto un incarico segretissimo e importante. Erminio lascia tutto, un amore, un lavoro sicuro, gli amici, per abbandonarsi al caso e all’incertezza, per inseguire la tentazione di un sogno di grandezza, trovare uno scopo più alto alla propria esistenza.
I due uomini si immergono nella costruzione di un nuovo ordine socio-politico e si abbandonano alla folle illusione di poter cambiare il corso della storia. Sprofondati nella solitudine, don Alberico e il Narri trovano reciproco sostegno nutrendosi di entusiasmo per un comune e nobile obiettivo: fondare un nuovo stato e dotarlo di una carta costituzionale. Nella storia di don Alberico e del Narri troviamo una tentazione e una sconfitta che è affermazione di un’attesa: il nostro sud, le rovine del passato mummificate, le potenzialità sempre inespresse della nostra terra, attendono che la lotta si compia nel presente, con la lingua e la testa di oggi per costruire il domani. Il coraggio di esprimere questo concetto semplice e cruciale risiede nella stesura stessa del libro, nella scelta di esprimersi in narrativa, in una narrazione peraltro non sentenziosa, che non conclude: il libro lascia aperto il finale, le conclusioni e persino le interrogazioni, evitando il bozzetto meridionalista, ponendolo anzi come imputato. Perché gli slogan e le sublimazioni, le frasi fatte e i luoghi comuni, sono forse i peggiori nemici della nostra ossessione di rinascita: gli alimentatori di confusioni e ignoranze sotto le quali ci siamo irrimediabilmente sepolti.


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