Più o meno negli stessi anni in cui in Italia i CCCP furoreggiavano con
il loro istrionico “punk filosovietico”, in Inghilterra c’era ancora chi
metteva la musica al servizio dei propri ideali, nella convinzione un po’
ingenua che si potesse cambiare il mondo. I Fire Next Time, che avevano preso
il nome da un libello antirazzista dello scrittore americano James Baldwin,
provenivano dalla città industriale di Leicester ed erano capitanati dal
cantante e chitarrista James Maddock, autore di tutti i testi e le musiche.
Completavano la formazione Nick Muir alle tastiere, James O’Malley al basso e
Ray Weston alla batteria. La pagina inglese di Wikipedia parla di «a four-piece left-wing soul band»,
ovvero una formazione soul a quattro, ideologicamente schierata a sinistra. Figli
minori di un’Inghilterra operaia, dunque, traditi dalla politica e impantanati
nella stagnazione economica. La definizione appare calzante, anche se non rende
bene l’idea di quale musica suonassero. Di certo non è punk, né new wave, né
tantomeno ska; è un rock militante
dalle venature soul, impegnato nei
testi e curato negli arrangiamenti.
In North to South, il loro
primo e unico LP pubblicato dalla Polydor
nel 1988, non troveremo dunque la furia iconoclasta del punk, ma robuste canzoni
dalla struttura classica, che si mantengono sempre nel solco di un suono poco
ruvido e molto addomesticato, con la strumentazione arricchita dal sassofono,
dalla tromba e persino dal corno. Il primo punto di riferimento è certamente
Springsteen, sia perché Maddock canta allo stesso modo, sia perché le canzoni
raccontano storie minime di eroi minori, al pari di quelle del Boss. Si pensi
alla figura del minatore in Following the
hearse, oppure al soldato di Fields
of France o al padre disperato di We’ve
lost too much. Sono storie di emarginazione e dolore, raccontate attraverso
parole semplici ma sentite. Altre sono poi le fonti di ispirazione del gruppo: dai
Clash e dagli oscuri gruppi skinhead
hanno preso la rabbia, dagli ultimi Jam un certo gusto per le commistioni tra
generi.
Tutte le canzoni hanno un taglio polemico di critica sociale. I Fire
Next Time portavano avanti un discorso politico e ci tenevano a farlo sapere,
traccia dopo traccia. In un’Inghilterra travolta dalla crisi e dove pure i
laburisti avevano tradito, Maddock & soci volevano essere la voce degli
ultimi, dei disoccupati, dei giovani che facevano la fila per un sussidio,
delle ragazze madri, degli emarginati. Le canzoni parlano dunque di guerra (Fields of France), di miseria (Supasave), di aborto (She was strong), di disoccupazione,
precarietà del lavoro e lotta di classe (We’ve
lost too much e Can’t forgive). Inutile
dire che la rabbia giovane che trasuda dai testi appare a volte ingenua, persino
eccessiva se non contestualizzata o letta con gli occhi del presente. Eppure, a
ben vedere, i problemi affrontati dal disco sono, a trent’anni esatti, i
medesimi che ci affliggono oggi.
È superfluo fare un’analisi brano per brano; va però puntualizzato che
il disco non conosce cali di tensione, è davvero piacevole dall’inizio alla
fine. Almeno quattro le gemme: la cupa ballata North to South, la combattiva Can’t
forgive, la toccante Saint Mary’s
steps e la furiosa We’ve lost too
much.
I Fire Next Time hanno dato un contributo modesto alla storia della
musica, eppure non vanno dimenticati, perché North to South è davvero un disco bello e intenso, da mettere sul
piatto nei giorni un po’ malinconici e rabbiosi, quando l’incazzatura sale e
sembra svanire la voglia di stare ancora sulle barricate.
La copertina di North to South (1988) e la band sul retro del disco
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