La mia non vuole
essere una recensione, ma un vero e proprio omaggio al libro più caro e
sfogliato della mia biblioteca: il Dizionario del pop-rock 2006, a cura di Enzo
Gentile e Alberto Tonti. Ha una struttura semplice e funzionale, al pari di un
qualsiasi dizionario enciclopedico. Di ogni artista sono riportate brevi note
biografiche e un elenco di tutti i dischi pubblicati, con sintetiche ma ficcanti
recensioni e un voto da una a cinque stelle. Abituati ad avere sotto mano una
miriade di informazioni grazie alla rete, un libro del genere può sembrare
superato e poco utile. E invece, a distanza di quindici anni, per me rimane
ancora un punto di riferimento della cultura musicale, la bibbia da consultare
prima di acquistare un album. Quando l'ho preso, nel 2006, non c'erano gli
smartphone e non avevo l'ADSL; giocoforza, il Dizionario cartaceo costituiva la
mia “camera con vista” sul mondo della musica. E voglio allora omaggiarlo, esaltandone i punti di forza.
1. Il Dizionario mi ha
fatto conoscere artisti che probabilmente da solo non avrei mai incontrato. Innumerevoli i dischi che ho acquistato perché spinto dalle sue brevi
didascalie: mi vengono in mente Giancarlo Onorato, Charlatans, Dr. Feelgood,
Van Der Graaf Generator.
2. Come ogni
enciclopedia che si rispetti, c'è tutto (o quasi): si va dal rock and roll
al grunge, dalla psichedelia al punk, dal progressive al britpop, dalla dance
all'elettronica. Ampio spazio è dedicato agli artisti più famosi, ma non
mancano i nomi oscuri della wave britannica (come i Comsat Angels), i
cantautori meno noti (Willie Nile), oppure certe band rock di buon talento ma
scarso successo (come gli Spear of Destiny).
3. C'è tanta (ma proprio
tanta) musica italiana. Alcuni potrebbero parlare di provincialismo, ma io ho
sempre apprezzato questa caratteristica del Dizionario, che lo rende diverso da
libri concorrenti. Dentro c'è praticamente tutto il rock italiano, dal
progressivo ai gruppi emergenti di inizio millennio, nonché tutti i cantautori, compresi quelli di nicchia, come Garbo o Juri Camisasca.
4. Le recensioni sono
essenziali ma efficaci. Poche parole che rimangono in mente grazie a un
linguaggio che predilige l'aspetto emozionale rispetto a quello tecnico.
Esemplare l'incipit della recensione di Aria di Alan Sorrenti: «la Napoli che meno ti aspetti, rivoluzione di suoni e
poesia, passando da Londra e dall'Inghilterra, dove risciacquare i panni della
sperimentazione, della ricerca, di una vocalità che non ha frontiere». Oppure,
si pensi alle parole spese per descrivere Forever changes dei Love,
definito «il capolavoro nascosto della
stagione psichedelica, la celebrazione in undici capitoli della creatività
egocentrica di Arthur Lee». Magistrali le parole utilizzate per riassumere
l'essenza dell'album che preferisco dei Litfiba: «nello scrigno di 17 Re c'è
spazio per liquidità, impressioni e suggestioni psichedeliche, per le
elettriche lancinanti di Ghigo come pure per i timbri delle tastiere di Aiazzi
e la teatralità vocale di Pelù».
5. Il sistema di
votazione dei dischi, basato sulle classiche stelle, utile soprattutto per gli
artisti che hanno una corposa discografia. Quando ho dovuto scegliere da quale
album cominciare per artisti come Rolling Stones, Pixies o Sonic Youth, ho
optato per i lavori a cinque stelle. Questo non vuol dire che mi trovi sempre
d'accordo con i voti del Dizionario; le due misere stelle appioppate a Boxe dei
Diaframma (per me un capolavoro) gridano ancora vendetta!
Non ho la presunzione
di affermare che si tratti del migliore o del più completo libro sull'argomento;
il mio è un semplice omaggio, per via dei tanti ricordi che mi legano al volume.
Per tutti questi anni il Dizionario del pop-rock è stato – e lo è tuttora – un punto
di riferimento, come un amico più grande e saggio, a cui rivolgersi quando si ha un dubbio. E lui, che di musica ne ha macinata davvero tanta, ogni volta ti
sorride sornione e sa darti il giusto consiglio, senza chiedere nulla in cambio.
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