Da più parti si invoca
la riscoperta del catanese Ercole Patti (1903-1976), una delle voci più intense
della letteratura italiana del Novecento, che meriterebbe un'attenzione
maggiore da parte di pubblico e critica. Le sue opere hanno un sapore
profondamente siciliano, o più genericamente meridionale; eppure, a differenza
di tanti scrittori del realismo meridionalista del Novecento – quali ad esempio
Silone e Jovine –, il siciliano Patti non guardava alla realtà con l'occhio
critico del polemista, quanto piuttosto con lo sguardo benevolo e allegorico
del poeta. Pur non essendo un grande conoscitore della sua vasta produzione, ho letto
Giovannino e Un bellissimo novembre, che mi hanno favorevolmente impressionato.
Il punto di forza è nella scrittura agevole, ricercata senza essere sofistica,
che Montale descrisse con un ossimoro, la “facilità difficile”.
Un bellissimo novembre,
finalista al Premio Strega 1967, contiene elementi scabrosi e tragici; ciononostante,
si dipana su ritmi lenti, senza strattoni fino al convulso finale. La trama
ruota intorno a un topos della letteratura: l'iniziazione sentimentale e
sessuale di un giovane da parte di una donna più grande. Mi vengono in mente, ma
si potrebbero fare innumerevoli esempi, Il diavolo in corpo di Radiguet e, per
rimanere entro i confini nazionali, Estate al lago di Vigevani.
Il protagonista è
Nino, un sedicenne di Catania che ogni anno, al tempo della vendemmia, lascia
la città per trascorrere con la madre alcune settimane di villeggiatura
nell'avita dimora di campagna dello zio Alfio, a Zafferana Etnea. La vicenda si
svolge interamente durante una lunga e tiepida Estate di San Martino dell'anno
1925, che segna per Nino la perdita dell'innocenza e la precoce iniziazione
alla vita adulta. La trasformazione avviene per merito – o si potrebbe dire per
colpa – della zia Cettina, che accende i sensi del ragazzo fino a farlo
bruciare di una morbosa e infine tragica passione. Il fulcro della storia è
dunque la relazione torbida e incestuosa tra la zia e il nipote: un semplice
gioco per la prima, un clamoroso turbamento per il secondo.
E se certamente Cettina
e Nino sono gli assoluti protagonisti del libro, Patti è abilissimo nel
tratteggiare i personaggi di contorno, sia pure con fuggevoli pennellate. Si pensi
allo sciupafemmine Sasà Santagati, oppure allo zio Alfio, che compare in un
brevissimo cameo, sufficiente però a scolpirlo nella mente del lettore come
uomo infido, avaro, attaccato alla “roba”. Poi c'è l'altra protagonista: la meravigliosa
e selvaggia campagna etnea. Le descrizioni di Patti sono così realistiche che
al lettore sembrerà davvero di camminare lungo l'infinita ràseda, di
aggirarsi per vigne e castagneti, assaporando succosi fichi d'India, godendo
del silenzio interrotto da qualche secca schioppettata, che cerca di
intercettare il volo migratorio delle calandre.
Il romanzo vive di
antitesi. La prima è quella tra campagna e città, che di fatto rispecchia la
contrapposizione tra due età. La campagna rappresenta l'eterna vacanza, la
spensieratezza dell'infanzia, l'ozio e la beatitudine della stagione, parola
che in molti dialetti meridionali identifica l'estate. La città è invece
l'inverno, raffigura il grigiore del dovere scolastico e lavorativo, le
preoccupazioni e le ossessioni dell'età adulta. Anche i personaggi si collocano
in posizioni antinomiche: Cettina è la carnalità, la madre di Nino è invece una
presenza astratta, il cui spessore fisico è prima negato e poi decisamente rifiutato.
Oppure si pensi alla dabbenaggine del marito di Cettina, il povero Biagio, cui
fa da contraltare la sfrontatezza di Sasà. In questo caleidoscopio di
personaggi granitici, scolpiti nella pietra, per Nino è difficile trovare un
posto nel mondo. Lui è fatto ancora di sostanza tenera, cangiante, poco
resistente alle intemperie della vita; non ha speranza, basta
un moto incontrollato del cuore per ridurlo alla follia e infine al silenzio.
Consiglio vivamente la
lettura di Un bellissimo novembre, un classico moderno baciato dal successo di critica e pubblico,
oggetto anche di una fortunata riduzione cinematografica. È una lettura agevole ma al tempo stesso immersiva, forse
l'apice del grande scrittore siciliano.
Vecchia edizione Garzanti (1971)
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